Prodotto dal mitico
Jack Endino, esce per
Small Stone il secondo album dei
Robots of the Ancient World. Gli psycho-stoners di Portland si erano messi in luce col precedente "Cosmic riders" (2019), ora ampliano il proprio spettro sonoro e fanno un deciso passo avanti in fatto di maturità e personalità. Se il debutto era ancora fortemente influenzato dalla scuola Kyuss-Magnetiana, adesso i ragazzi dell'Oregon puntano decisamente verso il cosmo e le visioni allucinatorie.
Lo notiamo già nella title-track, un percorso di sei minuti dove suggestioni narco-doomy si sposano a riff abrasivi e ritmiche heavy dal retrogusto sudista. Un basso lavico guida lo snodarsi di un groove sudato e appiccicoso (tra primi The Sword e ASG), con la voce irsuta di
Caleb Weidenbach più incisiva che nel precedente capitolo. Spazi psicoattivi punteggiano il brano con echi bluesy avvolgenti, senza far perdere la presa all'incedere spiraleggiante del brano.
Più oscure ed ipnotiche le cadenze rallentate della brillante "
Wasteland", un southern doom da manuale con
Caleb sugli scudi, mentre "
Agua caliente" è un pestone fuzz da orgia di cannabis. I
RotAW si dimostrano solidi ed affidabili come una squadra d'assalto, puro heavy rock sfumato nello stoner.
Anche "
Out of the gallows" è una rude botta bollente (alla Sixty Watt Shaman), invece la pesantissima "
Unholy trinity" riprende le tematiche più ombrose ed ossianiche in possesso degli statunitensi. Pezzo ai confini dello sludge, ma con un feeling melodico in sottofondo che odora di decadenza ed abbandono depressivo.
La rockeggiante e diretta "
Mk ultra violence", semplice, svelta e rocciosa sul genere Roadsaw, introduce l'episodio più ambizioso del lavoro: gli undici minuti di "
Lucyfire". Tornano i momenti riflessivi e le derive psichedeliche quasi da desert rock o da Earthless in trip oppiaceo, mischiati con riffoni ritualistici alla Electric Wizard. Un pezzone che trasuda acido da ogni nota, ma con una certa signorilità da rednecks gentlemen. Da ascoltare e riascoltare per stordirsi al massimo, fino al gorgo solistico da visioni lisergiche nel finale. Peccato per il sampler in coda che io avrei trascinato meno per le lunghe, ma non influisce più di tanto. Così come la bonus-track semiacustica "
Ordo ab khao", che pare una ballad stonata da mattinata dopo sbronza.
Con la
Small Stone è quasi impossibile sbagliare. Etichetta che ha un fiuto innato per il rock pesante, ruspante, genuino e qualitativo. I
Robots of the Ancient World sono una delle migliori sorprese dell'anno in corso nel loro genere.
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