Nati sul finire del secolo scorso, sono ormai più di vent'anni che i
Trivium danno il proprio contributo alla scena Metal, realizzando una decina di album dove il quartetto statunitense è sempre riuscito a mantenere una propria identità pur apportando variazioni e innovazioni al proprio sound, non sempre comprese ed accettate, ma puntuale dimostrazione della qualità di una formazione che anche a livello di line-up si è sempre mantenuta solida e costante grazie al suo nucleo storico:
Matt Heafy,
Corey Beaulieu e
Paolo Gregoletto, affiancato nel tempo da diversi batterista, dal fondatore del gruppo Travis Smith all'attuale
Alex Bent, già al suo terzo album con i
Trivium.
Sarebbe superfluo rimarcare come
"In The Court of The Dragon" bazzichi soluzioni parecchio distanti da quelle dell'esordio "Ember to Inferno", ma dobbiamo riconoscere come non si tratti nemmeno di un "What the Dead Man Say Part II", anche se i due lavori hanno parecchio in comune. Se l'immobilismo live provocato dalla pandemia Covid-19 ha ridotto sensibilmente i tempi d'attesa cui i
Trivium ci avevano abituato, sembra anche averli portati a spingere ulteriormente sull'acceleratore e ad inasprire il proprio sound. Così, dopo i cori gregoriani dell'intro "
X" (composta da
Ihsahn, frontman degli Emperor e che ha collaborato con
Heafy nel suo progetto solista Ibaraki), è proprio la titletrack ad irrompere dagli speaker con il suo impeto, puntellata dal drumming deflagrante di
Bent e da quel mix di Metalcore, Thrash e Classic Metal che è alla base della loro proposta musicale.
Per la frenetica "
Like a Sword over Damocles" i
Trivium rimescolano il mazzo e la prima carta estratta è quella con il seme del Thrash Metal, anche se ne vanno a smorzare le asprezze con gli ormai consueti passaggi melodici, soprattutto a livello del refrain. Un seme che attecchisce anche nella successiva "
Feast of Fire", che viaggia però a velocità più misurate, preferendo puntare sul groove, grazie anche al pulsare del basso di
Paolo Gregoletto e ad un pizzico di melodia, al solito piazzata nel ritornello. Con "
A Crisis of Revelation" ritroviamo i
Trivium più immediati e frontali, un brano dalle ritmiche vorticose, dove è
Heafy a fare la differenza, sia alla voce sia alla chitarra, dove è ovviamente ben assecondato da
Corey Beaulieu.
Dal tavolo da gioco alla cucina la strada da fare deve essere davvero poca, e i
Trivium riattaccano poi il loro Minipimer per dare vita all'eccellente e sinuosa "
The Shadow of the Abattoir", dove è subito
Heafy a mettere in risalto i suoi continui progressi a livello vocale, qui alle prese con delle clean vocals prima suadenti e poi incalzanti, su questo episodio cangiante, con quei cambi di tempo e di atmosfera che possono garantire solo dei musicisti di assoluta qualità e spessore. E se la seguente "
No Way Back Just Through" punta sulla semplicità e linearità, rivelandosi un bel cazzotto in pieno viso che farà sfracelli dal vivo, "
Fall into Your Hands" si snoda su un inedito tappeto ritmico prima di deflagrare nell'ennesima prova di forza dei
Trivium. Ma non è finita qui, in coda troviamo ancora due pezzi che si elevano dal lotto, ecco, infatti, l'abrasiva "
From Dawn to Decadence" che mantiene alta la tensione e i toni, ed infine "
The Phalanx", capace di rispolverare le atmosfere thrashy e - ehm -
metalliche di "Shogun" e del più stagionato "The Crusade".
Ricordo con piacere di aver avuto l'occasione di incontrare la band al Forum di Assago nel 2007, quando intervistai
Matt Heafy proprio mentre i
Trivium si preparavano a salire sul palco (gli headliner erano gli Iron Maiden), e già all'epoca mi avevano dato l'idea di essere dei ragazzi con le idee ben chiare e decisi a perseguire il proprio percorso musicale, e negli anni hanno poi confermato questa mia impressione.
E anche stavolta con ottimi risultati.
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