“
Heavier, more devastating, dark, and vicious”.
Quante volte ad un
album del nostro genere prediletto è stato associato completamente a casaccio questo tipo di descrizione?
Risposta: troppe.
Nel caso che oggi ci occupa, invece, non avrei saputo trovare aggettivi più calzanti.
Il
mastermind dei
Ghost Bath,
Dennis Mikula, ha centrato perfettamente le coordinate del nuovo
full length, che conclude col tema dell’odio (per sé stessi, come il titolo stesso suggerisce) una trilogia inaugurata con “
Moonlover” (tema: tragedia) e proseguita col mediano “
Starmourner” (tema: estasi).
In effetti, “
Self Loather” è letteralmente inzuppato di negatività, depressione, malevolenza. Un sostanziale contributo al
feeling del
platter, sempre stando alle parole del
leader, lo ha dato il
lockdown dovuto al
covid, con l’inevitabile corollario di alienazione e solitudine che hanno impattato sulla già fragile psiche di
Mikula.
Non deve stupire, in tal senso, che per la prima volta su un disco dei Nostri si possano apprezzare vere e proprie
lyrics, e non lancinanti lamenti disarticolati; allo stesso modo, pare corretto inquadrare quest’opera come la più personale, intima e sofferta mai realizzata dalla compagine a stelle e strisce -se vi siete persi le ultime puntate: no, non erano davvero cinesi-.
Alla luce -si fa per dire- di quanto scritto sinora, capirete quanto ostico sia il processo di assimilazione delle nuove composizioni; composizioni che peraltro, pur nella cupezza di fondo che le accomuna, riescono a diversificarsi notevolmente l’una dall’altra.
L’
opening track “
Convince Me to Bleed” sferza come vento gelido; la successiva “
Hide from the Sun” raggiunge picchi di disperazione e malessere difficilmente sopportabili; in “
Unbearable” e “
Sanguine Mask” si rallentano i ritmi e fa capolino un
groove malato; nemmeno la digressione pianistica di “
I Hope Death Finds Me as Well” dissipa la fitta coltre di disperazione, mentre le dissonanze tipicamente
DSBM di “
Sinew and Vein” vi condurranno ancor più a fondo nell’abisso.
A sublimare ulteriormente -sa mai ve ne fosse bisogno- il
mood funesto dell’opera intervengono poi la spigolosa e ruvida produzione confezionata da
Jack Shirley (già con
Deafheaven e
Oathbreaker) e lo splendido
artwork di copertina a firma
Zdzisław Beksiński -che tanto mi ricorda
Grifis, indimenticabile personaggio di
Berserk,
manga purtroppo incompiuto per la prematura dipartita del suo creatore-.
Dispiaceri nerd a parte, avrete ormai compreso quanto il nuovo
album dei
Ghost Bath mi abbia colpito.
Il voto assegnato è da considerarsi puramente indicativo: “
Self Loather” è difficile da assimilare e digerire, particolare, diverso dai suoi predecessori eppure legato indissolubilmente ad essi, figlio di una mente disturbata che mai come oggi si è messa a nudo.
Se saprete entrare in sintonia con essa, però, vi troverete tra le mani una piccola grande gemma di autentica oscurità interiore, merce preziosa in una realtà discografica sempre più affollata da impersonali cloni.
Provateci, se ne avete il coraggio.