C'era un periodo in cui i
Cradle of Filth venivano sbeffeggiati e derisi... sia per via del look che per gli atteggiamenti del leader (ribattezzatosi
Dani Filth)! Poi, tutto a un tratto, vengono: prima scaricati da tutti e, poi, acquisiti dalla
Nuclear Blast, che li rilancia e gli fa guadagnare nuovi adepti che fanno riscoprire a quelli 'vecchi' il valore intrinseco dato dalla loro proposta.
Come capita da
The Principle of Evil Made Flesh - eccetto
Darkly, Darkly, Venus Aversa - l'inizio (a volte strumentale, altre con una narrazione...) è affidato a un'introduzione. In questo caso ne abbiamo ben tre, poste ogni 3 brani, tutte orchestrali e firmate dall'ultima arrivata:
Anabelle Iratni, già nei
Devilment con lo stesso vocalist e, presentata in occasione dell'evento in live-streaming - più volte rimandato -
qui documentato e svoltosi il 12 di maggio.
Pare che, stavolta, il mastermind si sia ispirato al mondo reale! Mettendo da parte tutte le sue conoscenze letterarie per dichiarare guerra ai 'rovinatori' del pianeta... Il che, pensando anche alla struttura del disco, può riportarci direttamente ai temi apocalittici narrati su
Damnation and a Day. Mentre, da
Godspeed on the Devil's Thunder pare riprendere quella decadenza insita nell'opera dedicata alla vita di
Gilles de Rais.
È stato solo accennato ma, successivamente a quel deragliamento di
The Manticore and Other Horrors, la creatura di
Dani ha beneficiato degli innesti del chitarrista del Derbyshire,
Richard Shaw, e del connazionale del batterista:
Marek Šmerda (meglio noto come
'Ashok'). Entrambi di sicuro talento e, soprattutto, conoscitori delle strutture che hanno reso glorioso il passato della band. Da alcuni additati come generatori automatici delle stesse (vero, in parte!), è innegabile l'assoluta freschezza che trasudano i brani riguardanti gli ultimi 3 capitoli discografici, compreso questo! Non dimentichiamo che, per un decennio, il solo ad occuparsene fu il rientrante
Paul Allender, ormai divenuto stantio.
Veniamo alla musica...
Dopo "
The Fate of the World on Our Shoulders", quindi, ecco l'evocativa "
Existential Terror". Che porta in sé un riff catchy che difficilmente si dimentica e, che gode di uno dei passaggi più incisivi e coinvolgenti di tutto il disco.
"
Necromantic Fantasies" è stato il secondo singolo scelto - anche se, il videoclip è stato girato da
Vicente Cordero quasi in contemporanea con quello del primo - e, a parere del sottoscritto, non si svolge come ci si aspetta. Pur avendo delle ottime orchestrazioni (che, bisogna rimembrarlo, erano opera di
'Marthus' già dapprima dell'ingresso in formazione della dimissionaria
Lindsay Schoolcraft, la quale si occupava esclusivamente delle parti da corista...), riesce a venir fuori solo alla lunga distanza.
Al contrario di "
Crawling King Chaos" - presentata per la prima volta dal vivo al
Bloodstock Festival - che, pur riportandoci con l'attacco a un vecchio classico della band, ha in dote un certo andamento 'sinistro' di chiara matrice black... questo sempre ben accetto!
"
Here Comes a Candle... (Infernal Lullaby)", invece, ci introduce a "
Black Smoke Curling from the Lips of War". Forse l'episodio più rappresentativo dell'intera release! Ben bilanciato tra riff arcigni, sinfonie gothic e i vocalizzi tipici del frontman alternati alla voce lirica della fanciulla.
Segue un altro pezzo da novanta del disco: "
Discourse Between a Man and His Soul". Intriso di armonizzazioni e tastieroni con, alla base, un'esecuzione magistrale del batterista che, pur non avviando delle accelerazioni, non risulterà mai stucchevole.
Prima del terzo intermezzo, ecco che "
The Dying of the Embers" col suo groove cerca di riportarci direttamente a degli anni non proprio felici per il gruppo: i 2000. Quelli di
Nymphetamine e
Thornography, in cui ogni fan della band si sentì tradito dalla svolta al limite del mainstream... Non bisogna, comunque, preoccuparsi tanto perché, pur disdegnando quegli album, qualcosa di buono riaffiora anche nel suddetto pezzo.
Con "
Ashen Mortality" torna la calma e, con essa, anche uno dei brani che esaltano di più - come tutti quelli successivi agli intro - del lotto. Il titolo è "
How Many Tears to Nurture a Rose?", l'andamento vagamente maideniano. E, di riflesso, potrebbe ricordare qualcosa del loro capolavoro indiscusso: quel
Dusk and Her Embrace inciso con la prima formazione nel ’95 (recentemente presentato al pubblico con il suffisso
The Original Sin) e, poi, ri-registrato una seconda nel 1996.
In "
Suffer Our Dominion", invece, ritroviamo una vecchia conoscenza del gruppo. Quel
Doug Bradley che impersonò un certo
'Pinhead'. Pezzo articolato debitore, in alcuni tratti, di un certo melodic black di stampo nordico.
A chiudere il disco (standard) spetta alla violenta "
Us, Dark, Invincible". E qui i paragoni con alcuni episodi di
Cruelty and the Beast si sprecano! Ritmi sincopati e chitarre serrate danno il tempo alle strofe che, al momento del refrain, si fermano per dare spazio ai tratti sinfonici - da sempre caratterizzanti il sound della band britannica - sfociante in un finale catartico...
Come accade da un lustro - vuoi le richieste dell'etichetta, vuoi la non pubblicazione di una successiva edizione estesa - a farcire il full length ci pensano due ulteriori tracce bonus. Nella prima, "
Sisters of the Mist", riappare il protagonista di
Hellraiser! E l'occasione è quella di chiudere la trilogia iniziata con "
Her Ghost in the Fog" da
Midian, poi proseguita con "
Swansong for a Raven" (risalente all'album del 2004).
Oltre a non avere, ovviamente, il tema in comune con il resto dei brani - come la successiva - è scevra di quella magniloquenza che infarcisce gli altri e tira dritto, risultando abbastanza aggressiva rispetto a quanto già apparso in lista.
La seguente "
Unleash the Hellion", a parte qualche autocitazionismo (evidente anche nelle tracce esclusive delle versioni speciali che la
Nuclear Blast ha voluto rilasciare prima di questo), è una traccia degna di nota, soprattutto per quanto riguarda il lavoro di chitarra & tastiera. Nonché del qui finalmente udibile
Daniel Firth al basso!
Dire quale sia meglio tra
Hammer of the Witches,
Cryptoriana e
Existence Is Futile è abbastanza arduo. Sicuramente questo può risultare - all'apparenza - più pacato dei precedenti. Così come il secondo ha una marcia in più dal punto di vista della scorrevolezza e il primo può fregiarsi del titolo di apripista. Rappresentando in qualche modo l'archetipo dei rinnovati
Cradle of Filth...
Di sicuro, anche questo non ha nessun calo evidente. In ogni caso, come quasi ogni album della band originaria del Suffolk, non risulta banale e, ad ogni ascolto, offre sempre innumerevoli spunti. Da segnalare una produzione perfetta (ancora curata dal fido
Scott Atkins nei suoi
Grindstone Studio) e un artwork suadente, anche stavolta opera di
Arthur Berzinsh.
Le 3 bombe del disco > "
Discourse Between a Man and His Soul" - "
How Many Tears to Nurture a Rose?" - "
Black Smoke Curling from the Lips of War"