Devo ammetterlo, con questi “vampiri” britannici ho avuto poco a che fare negli ultimi anni della loro carriera; li avevo abbandonati dopo “
Midian” che considero l’apice della loro maturazione artistica.
Complice alcuni ascolti svogliati degli album successivi che non mi avevano fatto eccitare emotivamente, avevo chiuso con loro.
Ma devo tornare indietro sui miei passi, perché alcuni amici fidati da sempre aficionados degli inglesi, mi avevano assicurato che negli ultimi album si era risvegliata la scintilla creativa, devo dare loro ragione.
Ho ascoltato con curiosità gli ultimi “
Hammer Of The Witches” e “
Cryptoriana-The Seductiveness Of Decay” e ho riscoperto l’antico ardore che me li fece scoprire da poco più che maggiorenne; ecco che mi accingo a parlarvi del nuovo album uscito a quattro anni di distanza del precedente.
Un album potente, dove ci sono dei cambi in formazione con l’entrata in formazione della tastierista
Anabelle Iratni in sostituzione di
Lindsay Schoolcraft e si capisce la differenza.
“
The fate of the world on our shoulders”, introduzione orchestrale piena, sinfonica con vibrazioni orrorifiche che sono una costante degli albionici.
“
Existential terror”, è puro black sinfonico con apertura doomy e cori per poi ecco arrivare il tempo cadenzato e il buon
Dany Filth che si sgola con una prestazione eccellente adottando numerosi registri vocali.
Il drummer
Marthus è preciso e soprattutto calato alla perfezione nel mood compositivo, si sente la caratura tecnica ma ha la saggezza di dosarla in interventi mirati e cambi di tempo in collaborazione con i riffing delle chitarre.
“
Crawling king chaos”, è forse una delle punte di diamante del disco dove il black metal “romantico” dei nostri ha delle spinte thrashy soprattutto nelle accelerazioni serrate.
Il chorus ti prende e non ti molla più con sfuriate, dove però la melodia è ben presente.
“
Discourse between a man and his soul”, è una sorta di ballad estrema dove le orchestrazioni la fanno da padrone insieme a riff di chitarra malinconici.
La prestazione vocale del frontman britannico è in stato di grazia e le chitarre rifulgono di armonie di chiaro stampo heavy.
“
Suffer our dominion”, vede la partecipazione della vecchia conoscenza
Doug Bradley come voce narrante lungo la composizione; inizio lento, drammatico dove l’enfasi gotica è palpabile per poi ecco accellerare con riffing eccellenti a grattuggia e interventi in blast beat.
Si sente l’amore degli inglesi per l’heavy metal di stampo classico ma riveduto alla luce estrema; gli assoli sono perfetti in bilico tra melodia e graffi black metal.
Davvero un gran bel disco, non posso dire altro; veramente il percorso creativo degli albionici ha acquistato nuova luce, da avere!
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