Il debutto dei Duster 69 “Interstellar burst” mi era piaciuto per l’alternanza di grezzo e pesante heavy stoner con brani più acidi e particolari tipo “Grav zero” e “Sound of ocean” che fornivano una certa varietà alla proposta. Un buon lavoro, che aveva confermato l’esistenza di una positiva scena underground in una nazione come la Germania, notoriamente molto conservatrice. Aspettavo quindi un ulteriore passo avanti del trio tedesco verso la completa maturità, ma questo secondo album omonimo non è riuscito a convincermi del tutto. La direzione presa è stata quella di accentuare il sound monolitico ed ossessivo, molto metal-oriented, a discapito degli interessanti sprazzi psichedelici, quasi totalmente assenti. Le canzoni vivono tutte sul massacrante lavoro di riffing del chitarrista Jochen, abile a creare rocciosi giri stordenti ripetuti in forma circolare, rinunciando però ad ogni velleità solista. Ne deriva un’atmosfera cupa ed ipnotica, coinvolgente, ma che alla lunga stanca un pochino per mancanza di soluzioni. Aggiungiamo l’impostazione vocale di Matthias, sgraziata e punkeggiante, che certamente può non piacere a tutti, ed abbiamo un disco massiccio, duro, di non facile assimilazione, che non aggiunge però molto alle linee dell’esordio. Sicuramente è migliorata la produzione, specie sul lavoro della batteria finalmente ben presente nel discorso generale. Comunque, traks come “Fireball”,”Monster superblast”,”Dust crusher”, restano delle belle mazzate pesanti come macigni, che rimbombano con fragore e daranno soddisfazione agli stomaci più resistenti. Da segnalare in coda al disco la breve cover di “Cactus jumper” dal demo dei rimpianti Slo-burn. Un lavoro di transizione che non spiace ma non esalta, i Duster 69 hanno le possibilità per fare meglio e staccarsi nettamente dalla massa anonima, li attendo alla prossima uscita, al momento è roba solo per veri appassionati.
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