I
Phantom Fire arrivano dalla Norvegia, da Bergen per la precisione, e sono solamente in due:
Kjartan Grønhaug alla chitarra e
Eld (all’anagrafe
Frode Kilvilk) al basso ed alla voce, entrambi già membri degli stoner metallers Krakow.
Purtroppo, nonostante le ottime intenzioni bellicose del duo di Vestland,
The Bust Of Beelzebub, questo il titolo scelto per il loro esordio discografico, non riesce a mordere come vorrebbe, rivelandosi, a conti fatti, un lavoro estremamente confuso e troppo penalizzato dalla sua eterogeneità.
Peccato, perchè la partenza del full-length prometteva davvero bene, grazie all’assalto sonico formato dai primi 3 pezzi, ovvero l’aggressiva
Return Of The Goat, la title-track, ma soprattutto, per merito della convincente
Sweet Jezebel, che, con il suo alone di pungente ed inquietante oscurità, rappresenta indubbiamente l’apice del disco.
Purtroppo però, con la successiva
Pihsrow qualcosa si rompe, il ritmo diventa più cadenzato, ma non è questo il problema, piuttosto la traccia si rivela eccessivamente spoglia e prolissa, anche qualora nelle idee dei nostri avesse dovuto fungere da semplice intermezzo (ma si tratta per assurdo di una delle canzoni più lunghe dell’intero album!), il risultato finale è che, a conti fatti, il brano stanca. Il disco poi sembra rimettersi subito in carreggiata, con l’epica
Shut Eye, caratterizzata da una struttura portante tipicamente doom, ma si tratta fondamentalmente del classico fuoco di paglia, perché il pezzo non decolla mai veramente, cosi come le conclusive
Feed On Fire (che parte anche bene, ma alla fine non lascia niente) e
The Ninth Gate, apparentemente un secondo intermezzo (e questa volta si tratta del pezzo più lungo in assoluto dell'album!), che avrebbe dovuto ricoprire il ruolo del classico "outro di atmosfera" ma che poi invece, nell’ultimo minuto e mezzo della sua durata, fa registrare un’insensata scarica musicale piena di foga, ma senza capo né coda, posta poi inspiegabilmente proprio in conclusione del disco.
The Bust Of Beelzebub è una sorta di caleidoscopio sonoro, o almeno questo avrebbe dovuto essere nelle (pur buone) intenzioni di partenza dei
Phantom Fire, visto che in esso sono contenute diversissime influenze metalliche: dal black (non potrebbe essere altrimenti considerando le origini della band) allo speed/thrash, fino a giungere al doom e addirittura, in alcuni frangenti, anche al punk, ma questo insieme di idee avrebbe dovuto essere sviluppato in maniera più organica, perché alla fine ciò che resta, a dispetto di un buon inizio, è poco o niente, rimangono solamente spizzichi e bocconi di diverse proposte musicali, poco elaborate e che male si amalgamano tra loro, creando confusione e dando vita ad un lavoro che, nonostante qualche spunto valido, può essere tranquillamente bypassato.
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