Mentirei se vi dicessi che non mi è piaciuto
"Dark Connection", il nuovo lavoro dei
Beast In Black. E mentirei pure spudoratamente, dato che molti dei ritornelli dei pezzi presenti mi sono rimasti fermi nella mente per settimane e settimane. Contro tutti i dettami impostimi dalla mia anima più true e devota a dischi come "Hail To England", "Legacy Of Kings", o "Pile Of Skulls", l'ascolto di questo album è riuscito a far scaturire in me una irresistibile voglia di sentire e risentire le canzoni presenti.
Sicuramente la band è riuscita nell'obiettivo di sbancare, diciamo, nel grande mercato musicale. Ma certamente anche nel dividere gli ascoltatori, tra chi ama alla follia questa sorta di Pop Metal (definirlo Power è veramente al limite), e chi preferirebbe ingoiare un pacchetto di sale fino in una volta sola, anzichè sentire una singola nota.
Nati nel 2015 dopo l'abbandono di
Anton Kabanen dai Battle Beast, la band pubblica due album a cadenza biennale, sotto
Nuclear Blast. Con
"Dark Connection", i temi non virano più sul manga Berserker, o sul rapporto amore/odio, ma su una sorta di concept sci-fi su una società futuristica, con i suoi lati sia positivi che negativi. Con una lineup solida alle spalle, con il solo batterista
Atte Palokangas entrato in quest'ultima a partire dal secondo disco, i
Beast In Black possono dire di aver dalla loro una coesione non da poco.
Passando dalle veloci
"Blade Runner" e
"Revengeance Machine", dove spicca fra tutte la voce energica e carismatica di
Yannis Papadopoulos (il quale non ringrazierò mai abbastanza per il lavoro dei Sacred Outcry lo scorso anno), alle atmosfere alla cyberpunk di
"Moonlight Rendezvous",
"My Dystopia", o la catchy
"Hardcore", sulla quale vorrei sorvolare sul video promozionale, l'album non presenta punti deboli, e scorre nella sua irresistibile orecchiabilità . Tutto rose e fiori quindi? Non proprio, perchè in alcune canzoni si sente che la band va un po' con il pilota automatico, richiamando a sè alcune strutture esattamente identiche in pezzi precedenti, come in
"Bella Donna", che pesca a mani piene dal debut
"Berserker", o la banalissima
"Broken Survivors". Produzione in tipico stile
Nuclear Blast, potente, ma che alla lunga rende un po' freddino il tutto, il che è un peccato contando la qualità di alcune canzoni sopracitate. Presenti anche due bonus track,
"They Don't Care About Us" di Michael Jackson, riuscita molto bene, e
"Battle Hymn" dei Manowar" che....veramente, una roba aberrante. Totalmente fuori posto, con le tastiere che rovinano completamente l'incedere battagliero della versione originale, con la sola voce di
Yannis a salvare il tutto.
Per quanto quindi una parte di me vorrebbe bocciare senza pietà questo album, l'altra mi fa ritornare in mente il coinvolgimento e quei ritornelli che non accennano a scomparire dal mio cervello. A tutti i puristi, statene decisamente lontani. A chi abbia voglia di fare capolino per un momento in un'aria da disco anni 80' con ambientazioni futuristiche, dategli assolutamente una chance.
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