Perdere i blasonati servigi artistici di un protagonista contemporaneo dei suoni adulti come
Robert Sall (Work of Art, W.E.T.) non è certamente una faccenda trascurabile, nemmeno se ti chiami
Steve Overland (FM, Shadowman, The Ladder, Ozone, Overland, …) e con la tua laringe potresti rendere appetibile pure la lettura “cantata” della dichiarazione dei redditi.
Con tali presupposti, mi preparavo ad analizzare il secondo lavoro dei
Groundbreaker, progetto di casa
Frontiers Music che nel suo debutto era apparso proprio come una sorta di brillante fusione tra FM e Work of Art.
Il contributo in sede di scrittura di
Stefano Lionetti (Lionville),
Pete Alpenborg (Arctic Rain),
Jan Akesson (Infinite & Divine) e
Kristian Fyhr (Seventh Crystal), ad affiancare quello altrettanto prestigioso di
Sven Larsson (l’ex-Street Talk è un musicista dalla sensibilità immensa) in fase esecutiva, attenuava solo un po’ le inevitabili perplessità e diciamo che in effetti “
Soul to soul” è un disco per certi versi “controverso”, che vive di picchi imperiosi e tuttavia non lascia l’astante, “fatalmente” esigente, del tutto appagato.
O onor del vero, i suddetti pinnacoli si stagliano da un livello espressivo per molti inarrivabile, ma a costo di sembrare vagamente pretenzioso, da “certi” personaggi è inevitabile attendersi, oltre ad una perfezione formale, anche una costante e totalizzante tensione emotiva.
E invece qui forse qualcosa non deve aver funzionato in maniera esemplare, giacché dopo un’esaltante “
Standing on the edge of a broken dream” e una
title-track di spiccato valore, lo
slow “
Captain of our love”, “
Evermore” e “
Wild world” si attestano “solamente” nella categoria dei brani di classe superiore, privi però della “scintilla” risolutiva.
Bisogna, dunque, attendere “
Carrie” per ricevere un altro prepotente sussulto sensoriale, e se la traccia è “aiutata” dal fatto di essere una
cover di
Michael Bolton, l’interpretazione di
Overland è semplicemente perfetta, lasciando poi spazio a una “
Fighting for love” che si segnala per freschezza e un pizzico di maggiore “modernità”.
Ancora una piccola “pausa”, con la comunque intrigante “
It don't get better than this”, prima di un’altra scossa prepotente denominata “
There's no tomorrow”, spettacolare rilettura della struttura armonica che ha reso "
Can't turn it off" (sempre di
Mr. Bolotin, per gli eventuali profani …) uno dei
masterpiece assoluti del genere.
Il tenore di coinvolgimento si mantiene assai elevato pure in “
When lightning strikes” e “
Til the end of time”, mentre “
Leap of faith” riprende a lusingare i sensi senza affondare veramente il colpo.
Rilevando, infine, l’ottima prova dei confermati
Nalley Pahlsson (ex- Vindictiv, Therion),
Herman Furin (Work of Art) e del sempre straordinario
Alessandro Del Vecchio, non mi resta che assegnare a “
Soul to soul” la qualifica di produzione discografica estremamente competente, a cui stranamente (e non solo per il titolo …) sembra mancare nell'insieme appena un pizzico di “anima”.