Giunge all’invidiabile traguardo del sesto disco in studio la carriera solista del buon
Francesco Fareri, virtuoso chitarrista romano dalle indiscutibili abilità tecniche e dal sopraffino gusto musicale, cresciuto molto probabilmente, sin da ragazzino, a “pane e Batio”, considerando la sua personale concezione di intendere lo strumento, rivelatasi da sempre fortemente debitrice nei confronti della visione del mastermind italo-americano.
A tali influenze stilistiche non sfugge neppure il neo-nato
Primal Instinct, titolo dell’ultima creatura del nostro polistrumentista (che si occupa non solo del song-writing, ma anche della realizzazione materiale dei propri brani su tutti gli strumenti) che si rivela un disco discreto dal punto di vista delle composizioni, ma riuscito soprattutto, come si diceva prima, per le qualità tecniche e la fulminea velocità d’esecuzione di
Francesco.
Le varie tracce che compongono l’album, poco si discostano l’una dall’altra, mostrando evidenti richiami ai più illustri Guitar Heroes mai esistiti nel panorama dell’instrumental shred metal: da Malmsteen, al già citato MichaelAngelo Batio, passando per Satriani, Steve Vai, fino ad arrivare ai vari Joe Stump, John Petrucci e, perchè no, Kiko Loureiro.
Primal Instinct é una sorta di giostra colorata che ruota vorticosamente su sé stessa, in cui i virtuosismi di
Fareri si susseguono in rapida successione, con un'incisività ed una costanza da togliere quasi il respiro.
Spesso il risultato è convincente, come nel caso della title-track, della tagliente
Black Box, della neoclassica
Damnation Game (impreziosita dalla presenza di Rusty Cooley, che mi ha riportato alla mente il suo promettente progetto “Outworld”, tramontato purtroppo troppo prematuramente), o ancora della superlativa
Human Genesys (arricchita anch'essa dalla collaborazione con un altro special guest d'eccezione, ovvero Syu, superlativo chitarrista dei Galneryus).
Talvolta tuttavia , lungo lo scorrimento dell’album, si ha la vivida sensazione, che questa incessante e martellante esibizione della tecnica sia un pò fine a sé stessa e che alcuni brani fungano da semplici “filler”, il cui unico obiettivo consiste nel mettere in mostra le doti del chitarrista italiano. Di conseguenza, pezzi come
Triumph o, le pur belle,
Parallax e
Pharaon, rischiano di somigliare maggiormente a degli esercizi didattici, piuttosto che a delle canzoni che, in termini di emozioni, dovrebbero comunque lasciare qualcosa. Probabilmente, avrebbero giovato delle soluzioni melodiche e strutturali alternative all’interno dei brani più complessi, per renderli meno freddi e più personali, come avviene, ad esempio, per la conclusiva
Speedy & Dirty, certo non priva dei suddetti tecnicismi, ma indubbiamente maggiormente riuscita.
Sia ben chiaro, il disco è gradevole ed indubbiamente farà felici tutti i “segaioli della musica tecnica” (scusate il francesismo, e comunque, per inciso, anche il sottoscritto è incluso nella categoria!), ma da questo punto di vista, è bene ribadire che
Francesco Fareri non doveva dimostrare proprio niente; il problema è che, come molto spesso accade anche ai più grandi, questa esaltazione del virtuosismo talvolta si rivela eccessiva e finisce per svilire le emozioni, penalizzando oltremodo il sentimento e
Primal Instinct in questo senso, non è certo immune da colpe, tuttavia riesce a destreggiarsi con abilità e, a conti fatti, risulta un buon lavoro, non certo perfetto, ma comunque credibile e convincente.