Ecco il disco che i Crimson Glory avrebbero dovuto fare dopo "Transcendence" e prima (forse al posto...) di "Strange and Beautiful".
Ma "
Crimson Messiah" (questo titolo sarà solo una coincidenza?) non arriva dalla Florida, ma dalla più vicina Germania e ad opera degli
Iron Fate, che erano fermi all'esordio "Cast in Iron", uscito ben undici anni fa. Un tempo, come vedremo, che hanno saputo sfruttare alla grande.
Diciamo subito che al di là dell'introduzione ad effetto, non siamo di fronte a dei meri emuli dei Crimson Glory, visto che nello scorrere di "
Crimson Messiah" si scoprono altri possibili accostamenti, come, ad esempio, quelli a Queensrÿche, Agent Steel, Jacobs Dream, Jag Panzer (citazione obbligata, come scopriremo in seguito), Judas Priest e Ronnie James Dio.
La titletrack, posta spavaldamente in apertura, è lesta a evidenziare come gli
Iron Fate sappiano cavarsela senza timori nel confrontarsi con il Power & Speed made in USA, infatti, i mezzi li hanno: chitarre saettanti, una ritmica rutilante ed incisiva e la voce di
Denis Brosowski versatile e potente. Non gli è da meno la seguente "
Malleus Maleficarum", con i Sanctuary tirati in ballo qua e là, anche se nel ritornello sembra quasi di trovarsi alle prese con i Primal Fear. A sorpresa incappiamo poi in quelle atmosfere Hard Rock ottantiane di "
We Rule the Night", tra Bonfire e Scorpions, che stonano un po' nell'economia dell'album, un episodio un po' insipido e banale, dove comunque gli
Iron Fate tengono botta. Si riattraversa l'Oceano Atlantico prima con l'epicità di una "
Crossing Shores" dove ad accompagnare
Brosowski scopriamo proprio il cantante dei già citati Jag Panzer, l'immenso
Harry Conklin, quindi con "
Mirage", più rapida e pulsante, dove inizia già a intravedersi lo spettro dei Queensrÿche, quello che poi prenderà il totale controllo della melodica e introspettiva "
Strangers (In My Mind)", a mio parere la punta di diamante dell'intero album, grazie anche ad una stupenda prova di
Brosowski. Tocca dunque alla frizzante, e in grado di unire il Power Teutonico degli Helloween a quello Stars and Stripes, "
Hellish Queen", seguita a ruota prima da una "
Guardians of Steel" che sprizza Judas Priest da tutti i pori e poi da "
Saviors of the Holy Lie", che chiude le danze riecheggiando i toni dei Black Sabbath nel loro periodo con Ronnie James Dio.
Ma non è finita qui, almeno per chi sceglierà la versione in CD Digipak, dove troverà una (vera) cover dei Black Sabbath, nientemeno che quella di "
Lost Forever", da "The Eternal Idol" (1987), con
Brosowski che deve fare i conti con Tony Martin, e lo fa senza uscirne non le rotta ossa. Anzi.
Se solo qua e là un certo effetto "cover band" non fosse così accentuato, "
Crimson Messiah" si sarebbe piazzato più in alto nella mia Top Ten del 2021.
Ma un posticino se lo è ritagliato a pieno diritto.
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