Un dragone sputafuoco che campeggia al centro dell’artwork, un titolo ed un monicker dal sapore fortemente rhapsodyano ("of fire", chiaramente!); insomma, quanto basta per comprendere anticipatamente, prima ancora dell'ascolto vero e proprio, la direzione artistica di questo esordio discografico degli italiani
Draconicon, intitolato
Dark Side Of Magic che, se non spicca per originalità, si fa comunque apprezzare per qualità, eleganza ed intensità.
Le analogie con la band che fu di Luca Turilli, ma ora saldamente nelle mani di Alex Staropoli, appaiono evidenti sin dalle neoclassiche ed epiche
Fiery Rage,
Blackfire o
Darkspell.
Tuttavia sarebbe riduttivo ed errato bollare i
Draconicon con la semplicistica etichetta di "cloni dei Rhapsody", anche perché, la presenza costante di uno strumento come il violino (suonato dalle abili dita di
Simon Borghen) accomuna i nostri anche ad altre formazioni nostrane, vicine ad influenze più squisitamente folk e ovviamente l’accostamento più logico porta direttamente ai gloriosi Elvenking, parallelismo che viene rafforzato, non solo dalla presenza del sempre ottimo Damna, nelle vesti di special guest in occasione della celtica
A Song Of Darkness And Light, ma anche per la connotazione fortemente pagana di tracce quali la title-track,
Monster’s Breakaway o la conclusiva
Symphony Of Madness.
Ad ogni modo,
Dark Side Of Magic è un disco completo in cui, se da un lato spicca la tecnica dei musicisti, in particolare dei due chitarristi
Alex Moth e
Grym Hünter, dall’altro è anche in grado di trasmettere emozioni; merito di composizioni sinfoniche, mai eccessivamente invadenti, e di scelte melodiche particolarmente ricercate e convincenti, dal retrogusto agrodolce, che trovano la loro massima espressione in brani quali
Edge Of Power (che, per stile, richiama altre bands nostrane, come Labyrinth e Secret Sphere) o la malinconica
Dusk Of A Hero interpretata magistralmente, dal punto di vista espressivo, dal vocalist
Arkanfel.
Alla fine
Dark Side Of Magic centra pienamente il suo obiettivo e i
Draconicon, in questo loro esordio, riescono a condensare e a reinterpretare in modo del tutto personale, tutto il meglio che il symphonic-melodic power italico ha sfornato negli ultimi 25 anni, dando vita ad un disco che, sebbene sia fortemente derivativo, risulta paradossalmente fresco, ma soprattutto emozionante e mai noioso, un album in cui drammaticità, sinfonie epiche, atmosfere gotiche, virtuosismi neoclassici e divagazioni progressive, convivono armonicamente combinandosi perfettamente tra loro.
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