Ammettiamolo: la loro assenza iniziava a pesare!
Sono passati ormai 4 anni dal loro ultimo lavoro in studio e in questo lasso temporale, soprattutto a causa della pandemia, abbiamo visto e sentito di tutto, provando sensazioni profonde e, fra loro, talvolta anche contrastanti; a maggior ragione, si sentiva enormemente la mancanza di una band come gli
Amorphis!
Una formazione, quella finlandese, che delle emozioni ha fatto il proprio mantra, sicuramente unica nel suo genere, mai scontata e che, nel corso del tempo, è stata capace di reinventarsi svariate volte. Eppure, pur cambiando pelle ripetutamente, i nostri sono sempre riusciti musicalmente a mantenere un altissimo standard qualitativo, ma soprattutto, ogni loro nuovo disco, nonostante fosse regolarmente diverso dal suo predecessore, è sempre stato in grado di lasciare un marchio indelebile nella sfera emozionale dell’ascoltatore.
Insomma, il vero e proprio punto di forza degli
Amorphis, che non si è mai affievolito nel corso degli anni, è sempre stato quello di rinnovare il proprio stile ma, nel contempo, di continuare a raccontare emozioni purissime, con un’abilità unica, proseguendo imperterriti il proprio percorso, a volte anche tortuoso (come nei primi anni del nuovo millennio), incuranti delle critiche, arricchendo costantemente il proprio bagaglio musicale, attingendo elementi da ogni dove e guardando contemporaneamente in diverse direzioni.
A questo, va poi aggiunto un altro grande merito: quello di non essere MAI tornati sui propri passi, riproponendo forzatamente, per piaggeria o convenienza, un sound che la band non sentiva più suo (a differenza di ciò che invece hanno fatto tanti loro illustri colleghi, dai nomi più altisonanti).
Gli
Amorphis hanno sempre dimostrato una coerenza fuori dal comune, continuando a fare ciò che sentivano dentro, SEGUENDO IL LORO ISTINTO E IL LORO CUORE.
Halo, album che segna il passaggio alla neonata
Atomic Fire Records, è solo l’ultimo capitolo di questa bellissima storia, ormai trentennale, in cui la band scandinava, forte di una line-up quanto mai stabile e consolidata, non fa altro che continuare a dipingere la propria carriera, con meravigliosi colori luccicanti vecchi e nuovi, dando alla luce composizioni particolarmente intime e curate, dotate di un tiro melodico in crescita costante.
Ma cosa suonano oggi gli
Amorphis?
Progressive? Power? Death? Melodic Death? Prog-Power? Prog-Death? Heavy-Power? Symphonic? Folk? Gothic?
Aggiungete pure altri sottogeneri se lo ritenete opportuno, ma la verità è che i nostri sono un pò tutto questo...e anche di più!
O forse, ribaltando la prospettiva, gli
Amorphis non sono sostanzialmente nulla di quanto scritto sopra, a testimonianza del fatto che la loro musica è davvero “priva di forma” e, per questo motivo, universale ed immortale!
Insomma, appare un compito assai arduo, oltre che assolutamente riduttivo, definire esattamente lo stile attuale della band; e poi, in fondo, sarebbe un crimine relegare cotanta magniloquenza ed opulenza artistica ad una banale etichetta.
Certo, siamo lontani anni-luce dal death-doom degli esordi (a proposito, quest’anno sono 30 esatti dal sempre troppo sottovalutato “The Karelian Isthmus” del 1992) e anche dal death-prog del loro capolavoro assoluto, rappresentato dall’immortale gioiello “Tales From The Thousand Lakes” (1994).
Tuttavia, qualcosa di quel periodo è rimasto, c’è ancora qualche reminiscenza death, non fosse altro per il growl del sempre perfetto
Tomi Joutsen (ormai definitivamente leader della band) che, in tutte le tracce, sia quando canta sporco, che pulito, ha un’espressività fuori dal comune; ma, a differenza del passato, tali richiami estremi si fondono in maniera del tutto armonica con accattivanti melodie folk curate, come sempre alla perfezione, dall’inossidabile e storica coppia di chitarre, formata da
Esa Holopainen e
Tomi Koivusaari, come nella trascinante
On The Dark Waters, nella roboante
A New Land, nella turbolenta
War, o ancora, nell’aggressiva
The Wolf.
Ma, la vera svolta di
Halo, ciò che lo differenzia completamente dai lavori più recenti degli
Amorphis (“post-Eclipse” per intenderci), è indubbiamente da individuare nell’inspessimento delle parti progressive, ovunque abbondantemente presenti, dall’iniziale
Northwards in cui, a un certo punto, nel pieno della sua intensità,
Santeri Kallio irrompe improvvisamente con un inaspettato effetto hammond, sul quale
Holopainen si abbandona a fraseggi ed aperture melodiche totalmente inattese, oppure ancora, nella profonda
The Moon, mentre nella deliziosa
Windmane tocca invece alla sezione ritmica sincopata, a cura di
Olli-Pekka Laine (basso) e
Jan Rechberger (batteria) farla da padrone, ma sempre con
Joutsen e
Holopainen sugli scudi ed infine, in
When The Gods Came e nella orientaleggiante
Seven Roads Come Together è nuovamente
Kallio, con il suo vorticoso giro di tastiera, a stabilire le coordinate, poi riprese dagli altri strumenti.
Insomma, il disco è cosi pieno di sfumature (in linea con ciò che gli
Amorphis ci hanno insegnato nel corso del tempo) che risulta davvero difficile sintetizzare le sensazioni trasmesse, attraverso delle semplici parole, c’è solo la voglia di andare avanti ad ascoltarlo, traccia dopo traccia, perché le emozioni crescono di pari passo con l’intensità dei brani, minuto dopo minuto.
Halo è, come si diceva prima, veramente un disco completo, a 360 gradi, al suo interno si trova davvero di tutto: melodic-death, progressive, power, prog-power, heavy-power, folk, influenze celtiche che convivono con scale dal sapore arabeggiante e tanti altri elementi. Il tutto, si fonde in composizioni melodiche introspettive e trascinanti, che fanno letteralmente volare l'ascoltatore.
Sul finale, c’è perfino spazio per una ballad intitolata,
My Name Is Night in cui, il duetto di
Joutsen con una voce femminile, potrebbe ricordare, per intensità emotiva, quelli tra Roy Khan e Simone Simmons dei “Kamelot che furono” (altro che Karevik...ma che ne sanno i bimbiminkia di oggi! Scusate la divagazione...)
Difficile trovare un punto debole in questa nuova fatica discografica degli
Amorphis; forse si avverte un leggerissimo calo nel finale (la stessa title-track è probabilmente uno dei brani meno convincenti), o magari, qualche storico detrattore della band, potrebbe obiettare che certi refrains, alla lunga, rischiano di risultare un pò stucchevoli, ma parliamo veramente di minuscole gocce insipide, in un immenso oceano salato di creatività, anche perché poi, in questi rari casi, ci pensano sempre la carica espressiva di
Tomi Joutsen (ad avercene di vocalists cosi oggi!) e la chitarra di
Esa Holopainen a risollevare l’atmosfera alla grande!
Insomma,
Halo è un disco destinato a entrare nell’anima e a far sognare l’ascoltatore e francamente, si sentiva davvero il bisogno di un lavoro di questo tipo.
E quindi, mi sento di dire: BENTORNATI
AMORPHIS e, con tutto il cuore, GRAZIE per regalarci ancora, dopo tutto questo tempo, EMOZIONI FORTI!