Prendete del sano power metal, estremamente melodico, aggiungete un pizzico di death nelle linee vocali e, a correnti alternate, nella sezione ritmica. Condite poi il tutto con abbondante epicità, considerando che le liriche raccontano le gesta di antichi eroi appartenuti alla mitologia greca, ed otterrete la ricetta degli
Spartan, interessante band olandese giunta, con il nuovissimo
Of Kings And Gods, alla sua seconda uscita discografica.
L’album, edito per l’etichetta rumena
Pest Records, ha un impatto tutt’altro che felice, considerando che, in occasione dell' opener
Prometheus, i nostri tentano, nelle loro intenzioni, un approccio alla Children Of Bodom, ma ovviamente falliscono miseramente, non avendo minimamente le doti e soprattutto la classe di Laiho e soci, il risultato è un pezzo dall'andamento incerto e a tratti scarno.
Alla lunga però, il disco acquisisce maggiore personalità e si fa apprezzare musicalmente, soprattutto per il perfetto bilanciamento tra gli elementi melodici e quelli più aggressivi, che convivono armonicamente tra loro, in particolare nelle tracce più dirette, come
Birth Of A God o
A Siren Song (dove fa la sua comparsa una soave voce femminile che crea un piacevole contrasto con il growl del vocalist
Jeffry Rademakers).
Le chitarre, a cura del duo
Pieter Vink e
Nick van Beusekom, si fanno più incalzanti, con riffs dissonanti che, in alcune circostanze, strizzano l’occhio al thrash, e fraseggi particolarmente taglienti, nei brani più aggressivi, come la rabbiosa
The Trial o la distruttiva
King Of Panthenon, un’autentica schiacciasassi.
In questi frangenti, anche la sezione ritmica, ad opera di
Mike van Bekkum (basso) e
Frank Bos (batteria), che di base rispetta di tutti i canoni tipici del power, sembra avere un andamento irregolare, impazzendo a tratti.
Of Kings And Gods narra le gesta di eroi e divinità appartenute alla mitologia classica e, per questo motivo, le composizioni talvolta assumono una connotazione epica, soprattutto sul finale, in pezzi come
Supremacy e
Tomb Of The Great, in cui le chitarre si abbandonano a melodie più maestose che, di fondo però, rimangono sempre oscure.
Se musicalmente il disco è un crescendo e, a conti fatti, risulta convincente, forse non si può dire altrettanto per le liriche e per la costruzione dell’ipotetico concept (ammesso che lo sia) che sta alla base di questo lavoro e che appare un pò confusionario, considerando l’alternanza, non sempre logica, dei vari capitoli di una stessa traccia, vedasi ad esempio la conclusiva
Kingdom Of The Dead (Odysseus part 1), mentre la seconda parte dello stesso brano è posta quasi all’inizio del disco ed è il sottotitolo della già citata
A Siren Song.
A parte questo però, come si diceva,
Of Kings And Gods è un lavoro convincente e piacevole, che verrà apprezzato sia dagli amanti del power più estremo, sia dagli estimatori del death più melodico. Gli
Spartan dimostrano, nel complesso, di avere delle buone potenzialità e anche notevoli margini di miglioramento, soprattutto a livello di personalità (ancora da affinare) e di song-writing, nonostante si cimentino in un genere che ha probabilmente già dato tutto in passato.
E cosi, alla fine, anche se Atene piange, Sparta può accennare a un timido sorriso!
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