Copertina 5,5

Info

Anno di uscita:2022
Durata:46 min.
Etichetta:Loma Vista Recordings

Tracklist

  1. IMPERIUM
  2. KAISARION
  3. SPILLWAYS
  4. CALL ME LITTLE SUNSHINE
  5. HUNTER'S MOON
  6. WATCHER IN THE SKY
  7. DOMINION
  8. TWENTIES
  9. DARKNESS AT THE HEART OF MY LOVE
  10. GRIFTWOOD
  11. BITE OF PASSAGE
  12. RESPITE ON THE SPITAL FIELDS

Line up

  • Papa Emeritus IV: vocals, bass, songwriting, lyrics

Voto medio utenti

First reaction: shock”.
La citazione del nostro ex Presidente del Consiglio Matteo Renzi è d’obbligo, visto che da anni il primo ascolto di un album non mi lasciava così genuinamente sgomento. Talmente sgomento che ho sentito l’esigenza, pressoché inedita, di esternare i miei sentimenti: ne ho parlato con mia moglie, ho scritto al Sommo Graz e, per sovrappiù, anche alla chat di Whatsapp del gruppo del fantacalcio.

Tutto questo per dire che no, non mi aspettavo un disco così pop.
Lo so, lo so: già da anni i Ghost non potevano certo esser definiti un baluardo posto a difesa dei sacri canoni dell’heavy metal, anzi.
Cionondimeno, le coordinate stilistiche di “Impera” risiedono davvero “altrove” rispetto alla nostra musica prediletta: il feeling dark / occulto si è pressoché dissipato, delle atmosfere luciferine non si scorge traccia, così come non paiono pervenuti riff dotati di un modicum di cattiveria.

Ve ne potrete accorgere ben presto anche voi: dopo un breve, malinconico intro di stampo chitarristico prorompe “Kaisarion”, con quel destabilizzante acuto, quelle melodie talmente solari e positive… si potrebbe pensare quasi ad un divertissement, ad un episodio semi-isolato posto provocatoriamente in apertura.
Macché: bastano le prime note della successiva “Spillways”, sorta di “Hold the Line” dei Toto in salsa Ghost, per farci capire che l’andazzo è proprio quello.

Sui primi due singoli la maggior parte di voi avrà già maturato un’opinione.
Call Me Little Sunshine”, alle mie orecchie, continua a suonare come la cover di una b-side dei Metallica era Load. Nemmeno “Hunter’s Moon” mi aveva entusiasmato di primo acchito; d’altro canto, dando una rapida scorsa alla tracklist, le ficcanti linee vocali ed il contagioso bridge si rivelano sufficienti a renderla una delle migliori. Più per demeriti altrui che per meriti propri, ma tant’è.

Sinora, si badi, non si discute affatto di brutte canzoni, tanto per utilizzare un termine tecnico. Il livello qualitativo medio, tuttavia, anche prescindendo dalla impalpabilità del sound, è a mio avviso di molto inferiore rispetto alle precedenti release dei Nostri.
Per imbattersi nelle succitate brutte canzoni, peraltro, basta avere un po’ di pazienza.

Watcher in the Sky” partirebbe anche benino, grazie ad un (raro) riff dotato di sostanza; peccato perda man mano di mordente, soprattutto a causa di un chorus totalmente insapore. Sul web in tanti la descrivono come la vera hit del disco, e forse il tempo darà loro ragione, ma io non riesco a vederla tale nemmeno sforzandomi.
Che dire, poi, di “Twenties”?
Anche in questo caso, la rete tracima di elogi per un brano oltremodo coraggioso, arrangiato in modo sopraffino e con pattern ritmici inediti per i Ghost.
Tutto concesso, ma a mio avviso ci troviamo comunque di fronte al più classico degli esperimenti malriusciti, ancora una volta affossato da un ritornello privo di qualsivoglia spunto di interesse.
Lode al coraggio, meno ai risultati.

Su “Darkness at the Heart of My Love”, invece, mi limito ad alzare le mani.
Zuccherosa e radiofonica a livelli che mai avrei creduto raggiungibili. Ormai da un quarto di secolo non mi si può additare di oltranzismo metallico, ma qui ci muoviamo in territori che nulla hanno a che spartire col nostro Portale. Ingiudicabile.
Giudicabile, invece, ma non necessariamente in termini positivi, la seguente “Griftwood”, in cui i Ghost si dilettano a scimmiottare le scorribande del compianto Eddie Van Halen, condendo però il tutto con linee vocali e coretti leggerissimi, perfetti per chi ha voglia di niente (semi-citazione da denuncia, lo so, ma ci stava troppo bene).

Perlomeno si chiude in crescendo con la solenne “Respite on the Spital Fields”, che mette in mostra (finalmente!) un chorus vincente e ottime melodie di chitarra.
Peccato che i buoi siano già scappati da quel dì.

Vi posso assicurare che numerosi, tribolati ascolti sono seguiti a quello iniziale. Passato lo shock, tuttavia, è rimasta inalterata la mia opinione: “Impera” può serenamente venir rubricato come il peggior full length mai immesso sul mercato dai Ghost.
Ciò che è peggio, Forge sembra aver imboccato a piè sospinto un percorso artistico che non fa presagire nulla di buono per il futuro. Certo, un ritorno in carreggiata è sempre possibile, ed il talento compositivo di Tobias non può certo essere evaporato di colpo.

Chi vivrà vedrà; ad oggi, però, ci troviamo a fare i conti con un album che senz’altro divide, ma che ben difficilmente può comandare.
Peccato.
Recensione a cura di Marco Cafo Caforio
Delusione

Disco ipercommerciale ma senza i lampi di genio del disco precedente. Band alla deriva.

Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 07 apr 2022 alle 10:08

Dopo i primi ascolti ero d'accordo con voi, dopo averlo ascoltato un po' devo dire che mi piace anche questo!

Queste informazioni possono essere state inserite da utenti in maniera non controllata. Lo staff di Metal.it non si assume alcuna responsabilità riguardante la loro validità o correttezza.