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La risposta newyorkese ai Guns'n'Roses". Così scriveva Beppe Riva sulle pagine di Metal Shock, dando quasi il massimo dei voti al disco di debutto dei
The Throbs, "The Language of Thieves and Vagabonds".
In realtà ci sono delle differenze tra i due gruppi: innanzitutto la voce del cantante
Ronnie Sweetheart non era così acida come quella di Axl, molto più accostabile ad un Jyrki dei 69 Eyes per stare in tempi moderni; inoltre il gruppo abbracciava un sound hard rock anni 70 che i Guns avrebbero “scoperto” con gli "Illusion...", mentre al tempo di "Appetite..." erano molto più sleaze.
Il gruppo constava anche di
Roger Ericson alla chitarra,
Danny Nordahl al basso e
Ronnie Magri alla batteria, e nel 1989 fu messo sotto contratto con la
Geffen, e scelso un grande produttore come
Bob Ezrin fece esordire il proprio disco nel febbraio del 1991.
Il disco è, secondo il sottoscritto, stupendo, una gemma di quel glam/sleaze/hard rock che imperversava nella seconda metà degli anni ottanta grazie al successo dei Guns.
Il disco si apre con un sitar indiano, finché esplode il riff orientaleggiante di "
Underground", si alza il volume finché il riff deciso di chitarra apre alla bellissima voce di
Sweetheart, fino all'anthemico coro ed al ficcante assolo di
Ericson, chitarrista che non teme il confronto coi più quotati colleghi.
"
Come down sister" preme sull’acceleratore, sezione ritmica selvaggia ed un coro da cantare a pieni polmoni, anche qui condito da un assolo di ottima fattura.
Ma i
The Throbs sanno anche andare su territori più rock’n’roll, come dimostrano "
It's not the end of the world" o "
Rip it up", due canzoni in odore di Quireboys, altro gruppo troppo sottovalutato.
Ma anche le ballate fanno la loro parte, ed ecco allora "
Dreamin", col suo crescendo fino al chorus “corale" e al miglior assolo del disco, probabilmente; subito dopo la dolcissima "
Honeychild", brano acustico accompagnato da un sottofondo di archi. Anche "
Only way out" è una ballata di ottima fattura, questa volta più elettrica.
"
Ocean of love" come la conclusiva "
Strange behaviour" alternano momenti più tranquilli ad altri più energici, risultando tra i pezzi migliori del disco (ma pezzi deboli non ve ne sono, effettivamente).
"
Sweet addiction" ed "
Ecstacy" concludono in degno modo il disco, essendo due buonissimi brani tipicamente hard rock, la seconda molto vicina allo sleaze dell’epoca.
Purtroppo il disco non ebbe successo, oramai il genere era sul viale del tramonto, anche per via del ciclone grunge e del cambiamento di opinioni musicali dei consumatori.
Dopo pochi mesi il gruppo fu scaricato dalla
Geffen che ne decretò in sostanza la fine (in realtà uscì un secondo album solo in digitale, ma lontano dalla qualità del debutto).
Per gli appassionati del genere il consiglio è di cercare questo album, ne vale la pena.
A cura di Shock
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