Quella che viene presentata come
“un’opera metal diversa ed innovativa, un viaggio interstellare alla scoperta dell’universo del Chronomaster e delle sue avventure” - e che si allaccia alla saga
Docker’s Guild di
Douglas R. Docker (qui in veste di autore degli ottimi testi, come per il primo capitolo del
Vivaldi Metal Project) - è prima di tutto un lotto di belle canzoni, solide, ben arrangiate e ben interpretate (a prescindere dall’ennesimo cast stellare coinvolto).
C’è il progressive metal ricercato e “spaziale” di memoria
ayreoniana (
“The Mission”), così come non mancano episodi dal gusto gothic e oriental (
“The Ancient Throne Of Tessev V.”, “We Came In Peace”), momenti thrash (
“In Hoc Signo Vinces”, dal piglio epico), brani a loro modo nostalgici (
“Revenge Of The Last”, a cavallo tra
Crimson Glory e metal neo-classico) e altri più sperimentali (penso all’elettro-hard rock di
“The End Of Your World”).
La conclusiva
“Nothing Left To Lose” è la traccia dal respiro più rockoperistico, con un finale che si sviluppa alla maniera di
“Finally Free” dei
Dream Theater, ma non senza personalità. I vari interpreti che affiancano
Enrico Scutti in
“The Android Messiah” non hanno bisogno di presentazioni, e spaziano da
Snowy Shaw (superlativo in
“The Last Man Of Ice”) a
Mark Boals (non riesco a non pensare a
Genius quando sento la sua voce), passando per
Amanda Somerville e
Marcela Bovio.
Una bella sorpresa in un genere un po’ sottotono come quello delle opere metal.
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