Tempo.
Ne è trascorso tanto, tantissimo, da quel remoto pomeriggio liceale in cui mi recai dal mio fidato negozio di dischi ed acquistai un
cd dalla copertina così diversa da quelle che decoravano le scansie della mia camera.
Oggi, ad un quarto di secolo dall’uscita di “
Sehnsucht” mi trovo, con mezzo metro e qualche milione di capelli in meno, a parlare di “
Zeit”, ottavo
full length dei miei amati
Rammstein.
Amati, certo, perché il ruolo teoricamente terzo di recensore non può mascherare, né tantomeno sopprimere, sentimenti coltivati nel corso di decenni grazie a brani, video e concerti indimenticabili.
Ciò premesso, mi sento piuttosto sereno nell’annunciarvi che l’opera di cui mi trovo oggi a scrivere costituisce l’ennesimo centro pieno di una discografia con pochissimi punti deboli. Sono stato tentato sino all’ultimo di affibbiare un più rotondo
8, ma così facendo avrei, con ogni probabilità, peccato di eccessiva generosità. Se come me, tuttavia, siete legati dal punto di vista affettivo a questa
band unica, potete anche aggiungere il mezzo punticino che io ho crudelmente sottratto.
“
Zeit”, al di là degli sterili riscontri numerici, ci consegna una compagine ormai perfettamente oliata; una compagine che sa alternare con sapienza mestiere ed ispirazione, ruffianeria e sperimentazione, cafonaggine e raffinatezza.
Nei tre quarti d’ora scarsi di durata del
platter potrete imbattervi in ogni sfaccettatura del
Rammstein sound, abili come sempre nell’alternare stili, influenze e
mood senza ingenerare il benché minimo senso di spaesamento nell’ascoltatore.
Così, le suggestive spire elettroniche del
mid tempo “
Armee der Tristen” cedono il passo alla malinconica epicità di “
Zeit”, episodio che cresce letteralmente ad ogni ascolto. Tocca poi alla suadente e notturna “
Schwarz”, dotata di arrangiamenti sopraffini, chiudere un trittico iniziale forse di scarso impatto metallico, ma di innegabile qualità compositiva.
Chi avrà iniziato a mugugnare per la mancanza del classico
riffone ignorante verrà prontamente accontentato da “
Giftig”, che non sarà un capolavoro ma che, grazie all’ennesimo miracolo dietro la
consolle di
Olsen Involtini e a quel
feeling vagamente
eurodance anni ’90, farebbe scapocciare anche un termosifone.
Rimaniamo nel campo dell’immediatezza e della familiarità con la successiva “
Zick Zack”, in cui vengono saccheggiati diversi stilemi del
Rammstein-pensiero, per poi condirli con un
chorus contagioso e linee di tastiera scandalosamente
pop. Il risultato? Se al primo passaggio nello stereo l’avevo trovata caruccia e nulla più, ora non riesco letteralmente più a togliermela dalla testa.
Maledetti, ci riuscite sempre.
A chiudere il trittico centrale interviene poi “
OK” (ossia “
Ohne Kondom”, senza preservativo), anch’essa rocciosa e trascinante, benché non necessariamente imprescindibile.
Di tutt’altro spessore “
Meine Tranen”, sorta di continuazione, sia lirica che musicale, di “
Mutter”; non raggiungeremo forse quei picchi di struggente solennità, ma i brividi lungo la schiena, ve l'assicuro, sono i medesimi.
Non sarà certo “
Angst” ad abbassare il livello di attenzione: minacciosa, dotata di ritmiche possenti e graziata da una mostruosa prestazione vocale di
Till, in definitiva una scelta avveduta quale terzo singolo.
“
Dicke Titten” è il secondo momento in cui si esplorano temi a sfondo sessuale (si parla di seni prosperosi, come avrete forse intuito). Presumo che nelle intenzioni si volesse confezionare l’ideale seguito di “
Pussy”, la cui irresistibile sfacciataggine
catchy non viene però replicata in questa sede.
“
Lugen” rappresenta uno dei momenti più particolari di “
Zeit”: un
Lindemann ancora una volta in stato di grazia ci conduce lungo un saliscendi ad alto tasso emozionale, che alterna parti narrate, e molto spoglie a livello strumentale, ad improvvisi strappi di rabbia. Mi raccomando però: non fatevi spaventare da quel minaccioso
autotune, e soprattutto non fermatevi al primo ascolto. Verrete premiati.
Si chiude con “
Adieu”, in cui il
riff e la strofa mi hanno ricordato addirittura quelli di “
Children of the Revolution” dei
T. Rex.
Le
lyrics e l’incedere mesto hanno saputo conquistarmi senza remore, pur facendomi sorgere un atroce dubbio: non si tratterà forse di un implicito messaggio che lascia presagire la fine della
band?
In tutta franchezza non lo so e non voglio pensarci; ciò che conta è che se “
Zeit” dovesse davvero sancire il commiato discografico dei
Rammstein, beh, perlomeno si tratterebbe di un commiato coi fiocchi.
Intanto ci incontreremo di nuovo a luglio in quel di
Torino; poi si vedrà...