Copertina 8

Info

Anno di uscita:2022
Durata:42 min.
Etichetta:Heavy Psych Sounds

Tracklist

  1. STRANGE MACHINE
  2. OVER THE HILLS
  3. FADE INTO FANTASY
  4. BROKEN STONE
  5. PSYCHEDELIC ESPRESSWAY
  6. THE EARTH SPINS
  7. SILVER
  8. TEACHING CARNAL SINS
  9. DEAD WOMAN WALKING

Line up

  • Siân Greenaway: vocals
  • Matt Noble: guitar
  • Dan Burchmore: bass
  • Jake Mason: drums

Voto medio utenti

La storia dei britannici Alunah, formatisi intorno al 2006, si sviluppa attraverso numerosi cambiamenti: di line-up, di etichetta ed anche stilistici. Nell'arco di una quindicina di anni di attività, sei album in studio (compreso il presente "Strange machine"), numerosi demo, Ep e compilation, un poderoso bagaglio di esibizioni live (tra i tanti, hanno suonato con Lord Vicar, The Obsessed, Paradise Lost, Mondo Generator, Lonely Camel, The Order of Israfel, Mars Red Sky), pubblicazioni con PsycheDOOMelic, Napalm, Svart ed ora con Heavy Psych Sounds. Molte evoluzioni, tanto che oggi della formazione originale rimane soltanto il batterista Jake Mason.
La band di Birmingham ha anche modificato il suo approccio musicale: gradatamente le forti componenti classic-doom (vedi l'esordio "Call of Avernus") sono diventate un sottofondo molto meno pronunciato, mentre la malinconia e la solennità di un "Awakening the forest" sono state sostituite da una solarità molto hard rock e da un'atmosfera psych orgogliosamente settantiana.
Quindi, come possiamo definire gli Alunah del post-pandemia? Una ottima retrò-rock band con splendida voce femminile, sul modello vincente di colleghi come Purson, Blues Pills, The Neptune Power Federation. Groove robusto, melodie catchy, elementi bluesy e doomy, attitudine stoner-psichedelica, ma soprattutto un songwriting sempre curato ed incisivo.
Un contributo decisivo proviene certamente dalla cantante Siân Greenaway, perfetta nell'interpretare con energia le parti più rock e nel modulare in maniera profonda ed intensa i passaggi maggiormente evocativi. Ugola e presenza scenica di rilievo (anche esteticamente, che non guasta mai...), a rappresentare indubbiamente il filo conduttore dell'intero nuovo lavoro. Però il resto del gruppo non è soltanto il sostegno della front-woman, anzi i riff del nuovo chitarrista Matt Noble (reclutato un paio di anni fa) brillano per semplicità ed efficacia seventies e la sezione ritmica è di quelle oliate e precise come un orologio svizzero. Così ogni brano acquisisce una propria dignità e coloritura, andando a comporre una scaletta variegata e gratificantemente scorrevole.
Dalla rocciosa e trascinante title-track (un hit che mi ha fatto pensare ai primi Judas Priest che si danno allo stoner...), passando per la cadenzata e Zeppeliniana "Over the hills" ed arrivando alla spiraleggiante e proto-psych "Fade into fantasy" (un mood acid-pop conturbante e nostalgico che ci catapulta indietro alla fine dei '60), appare chiaro che gli inglesi possiedono la tempra delle band di rilievo. Anche nei temi più dilatati non perdono il controllo, casomai aggiungono un retrogusto prog che rende ancora più gustosa la proposta.
Spiazzante il passo leggero e hippie di "Psychedelic espressway", una folky-ballad con tanto di flauti alla Focus che probabilmente farà sollevare il sopracciglio ai fans della prima ora, talmente è distante dai contorni cupi e sofferti degli esordi, ma a me piace proprio per la sua diversità. Interessante il contrasto tra schemi potenti e marziali (con il contributo di Shane Wesley dei Crowbar) e parti ariose e progressive in "The earth spins", mentre la solidità heavy di "Silver" richiama alla mente nomi come The Sword o Mountain Tamer. C'è sempre una base di orecchiabilità che cattura, insieme alla trasmissione delle "old good vibrations" del rock vintage che non muore mai (alla faccia di certi neofiti pompati dal mainstream...nda).
Altro groove vitaminico arriva nel finale, con la torbida e blueseggiante "Teaching carnal sins" che mantiene le promesse veicolate dal titolo (una sorta di primi Orange Goblin con ambizioni catchy) ed il rock ultra-classico "Dead woman walking", un pezzo alla Greta Van Fleet o The Vintage Caravan ma con potenti female-vocals.
Non c'è dubbio che gli Alunah siano profondamente cambiati rispetto agli ormai lontani esordi: molto meno doom e molto più rock ed orecchiabili. I doomsters integralisti storceranno il naso, mentre i retrò-rockers con tendenza alla pop-psichedelia lucideranno i bong e correranno a procurarsi gli allucinogeni. Personalmente, ammetto che li preferisco oggi rispetto a prima. Adesso mi sembra una formazione più originale, calda, dinamica, brillante, che incide pur senza inventare nulla di sorprendente. Inoltre la voce della Greenaway non è inferiore a quella di una Loz Sutch o di una Erin Larsson, perchè copre tutto lo spettro delle tonalità: da quelle impetuose e dirette a quelle elegiache e mesmeriche. Un disco candidato alla mia top-ten di fine anno, salvo clamorose sorprese.

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