Da una parte c’è la passata carriera di
Graham Bonnet, corposa, variegata, celebre, dai tratti un po’ “eccentrici” e spesso irresistibile.
Dall’altra il suo presente artistico, encomiabile, fatalmente legato alla “storia” di un cantante che nella “maturità avanzata” dell’esistenza ha ritrovato un’invidiabile “freschezza” espressiva, aiutato dal ritorno in auge delle sonorità che hanno reso Rainbow, MSG e Alcatrazz modelli imprescindibili anche per le “nuove generazioni” dell’
hard-rock.
Ed ecco che l’ascolto di “
Day out in nowhere” diventa l’occasione per “apprendere” qualcosa d’importante, per constatare che non bisogna per forza essere “giovani” anagraficamente per vedere scorrere il “fuoco” del
rock n’ roll nelle proprie vene e che l’esperienza e la cultura in molti casi sono valori aggiunti anche nel pirotecnico mondo della musica.
Insomma, se c’è qualcuno che può attestare il fatto che si può tranquillamente invecchiare senza per forza “rincoglionire”, quello è proprio
Mr. Bonnet e a sostenere nitidamente tale tesi arrivano quarantasette minuti di appassionato
rock “duro” melodico ed evocativo, interpretato splendidamente e suonato con altrettanta perizia e sensibilità da ottimi musicisti.
E se non bastasse il contributo di
Conrado Pesinato e
Beth-Ami Heavenstone ci sono anche alcuni prestigiosi
special guest a rendere ancora più appetibile la raccolta, aggiungendo, come accade in “
Jester” (con
Jeff Loomis di fama Nevermore e Arch Enemy) sfumature “inedite”, spingendosi fino al limite del
power metal.
Tra i momenti “particolari” dell’albo si segnala anche l’enfasi della ballata orchestrale “
Suzy”, ma per quanto mi riguarda è tutto il resto del programma a trasformare l’opera in un favoloso viaggio nei suoni che hanno reso il nostro un’icona del genere, in cui le tappe principali si chiamano “
Imposter”, “
Twelve steps to heaven”, “
Brave new world”, “
Uncle John”, “
The sky is alive” e
“It's just a frickin’ song”, dove la presenza di
Don Airey acuisce ulteriormente indelebili memorie Rainbow-
esche.
Le rughe, insomma, non sono per nulla un ostacolo per fare bene “la propria cosa”, un’esortazione che
Graham Bonnet indirizza senza reticenze a una società in cui la loro comparsa ha spesso un’accezione negativa … ora sta a voi care
new sensations del settore provare a fare meglio di “
Day out in nowhere”.
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