Traguardo dei venti dischi realizzati (se contiamo anche la versione ri-registrata di Touch Of Sin), una carriera di ben 42 anni, e una passione sfrenata per l'heavy metal classico nella sua forma più pura. Questi sono i
Sinner, capitanati da
Mat Sinner, che possono certamente porsi come uno dei punti fermi del metal per chi cerca sonorità accattivanti, riff decisi e ritornelli decisamente orrecchiabili.
Certo, il doppio impegno intrapreso con i Primal Fear a partire dal 1997 ha intaccato leggermente i
Sinner per alcune uscite non proprio eccellenti, pur rimanendo nella sufficienza, come
'Crash & Burn' o
'Judgement Day', ma possiamo comunque affermare con sicurezza che
Mat Sinner di ispirazione ne ha sempre tenuta molta da parte, sia da un lato che dall'altro. A distanza di tre anni dal precedente
'Tequila Suicide' dunque, ecco ripresentarsi la band con questo nuovo full lenght intitolato
'Brotherhood'. Titolo nato,a detta di
Sinner, dalla forte amicizia e dal legame che stringe ogni componente della band, senza il quale la band non esisterebbe, ed effettivamente ascoltando il disco si può chiaramente sentire come sia il prodotto di una band unita e sopratutto compatta.
Niente particolari sorprese, e sarebbe anche inutile aspettarle da un certo punto di vista, e se sorvoliamo sull'incidente della copertina ripresa palesemente da una band nostrana, il lato prettamente musicale soddisfa assolutamente. Tra le rasoiate heavy metal di
'Bulletproof',
'Refuse To Surrender' o
'Gravity', passando per la lunga 'The Last Generation', davvero ben riuscita e che grazie anche a intermezzi orchestrali che creano un bel crescendo, l'album presenta una buona varietà che assicura senza alcun dubbio un tasso di attenzione abbastanza alto. La Titletrack rientrerà senza ombra di dubbio tra le hit da suonare dal vivo nel tour di supporto, mentre
'The Man They Couldn't Hang' e la successiva
'The Rocket Rides Away' riprende (anche un po' per forza di cose) alcuni pezzi sparsi qua e là dei Primal Fear, ma comunque senza lasciare sensazioni di noia o simili, son canzoni che passano e si ascoltano senza ulteriori pretese. A chiudere invece ci pensa l'ottima cover di
'When We Were Young' dei The Killers, che si adatta benissimo allo stile dei
Sinner, e che conclude nel migliore dei modi
'Brotherhood'.
Sicuramente non sarà il disco che nei momenti di vuoto verrà ripreso per premere nuovamente
'play', ma rappresenta un buon appiglio a chiunque sia rimasto deluso dalle ultime uscite discografiche in generale o non trovi nulla che rientri nei suoi gusti, e necessiti di trovare un'isola sicura e tranquilla dove trovare pezzi grintosi, adrenalici, anche con qualche cliché, ma pieno di passione.
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