Gli statunitensi
Druids appartengono a quella schiera di formazioni capaci di superare ed attraversare i confini tra generi e sottogeneri, creando un flusso musicale che ingloba in maniera coesa svariate influenze contemporanee. Un sound complesso, articolato, variegato, che possiamo definire genericamente post-metal ma che comprende in modo palese influenze stoner, alternative-rock, psichedeliche, dark, sludge. Il trio di Des Moines, Iowa, può essere accostato allo stile arcigno e cangiante di nomi come Mastodon, Baroness, Intronaut, Vokonis, Dvne, Elder, con i quali condividono lo stesso piacere e la difficoltà di operare attraverso una contaminazione costante. Con il presente "
Shadow work" gli americani alzano l'asticella della qualità, rispetto al paio di lavori precedenti. Già il titolo, ispirato al lavoro intellettuale di Carl Gustav Jung, è un simbolico accenno ai chiaroscuri dell'animo umano, alla presenza di luci ed ombre nella nostra personalità, all'esplosività delle pulsioni funzionali e disfunzionali, concetti che ritroviamo nei tornanti musicali presenti all'interno di ogni singolo brano in scaletta.
L'intro "
Aether" è un cameo di atmosfera ritual-tribalistica (vagamente Sleep-iano) giocato sul binomio basso-batteria e corredato da spoken-words profonde e sciamaniche, ma dalla seguente "
Path to R" i
Druids dispiegano pienamente il proprio arsenale post-metal costituito di groove heavy spezzacollo e passaggi rallentati ed evocativi. L'eco di Mastodon e Baroness esiste, ma il terzetto persegue una impostazione progressiva di ottima levatura, alternando momenti cupi e drammatici a passaggi più agili e screziati di psych-attitude. Se nella prima parte del brano prevale una pesantezza dal groove sferzante, nella seconda emerge una feconda tendenza dal retrogusto jammistico guidata dal solismo limpido di
Luke Rauch.
Più cupa, oscura e doomy si rivela "
Ide's koan", otto minuti di post-metal/stoner di grande climax espressi da un costante saliscendi ritmico. Vocals sofferte e ieratiche, intarsi psichedelici e drumming avvolgente (notevole la prestazione di
Keith Rich, batterista moderno e dinamico), con una parte finale impetuosa e rabbiosa che mi ha ricordato i Neurosis più ispirati. Brano eccellente nel suo genere.
Tutte le tracce hanno minutaggio corposo, coerente con l'impostazione heavy-progressiva adottata dagli statunitensi. C'è anche una sottile tendenza alla ripetitività nell'intreccio di aggressività, pesantezza, calma ed atmosfera, così alcuni episodi appaiono meno incisivi ("
Hide", "
Cloak - Nior bloom") perchè avari di impennate davvero graffianti, mentre altri brillano senza dubbio per stile e qualità. Ad esempio la potente "
Dance of skulls" che mostra un rivestimento severo e drammatico da post-metal di alta fattura (tipo Elder, Intronaut) con qualche passaggio alternativo davvero turbinoso ed esaltante, oppure l'incursione nel doom più articolato della monumentale "
Othenian blood", otto minuti di raffinata e serrata oscurità spezzati da intarsi rabbiosi e meditazioni oniriche alla Spirit Adrift. Una mini suite ambiziosa, varia, elegante ed emozionale, che certifica il buon livello di songwriting raggiunto dai tre ragazzi dello Iowa.
Disco ben costruito, intenso, complesso, con pochi cali di tensione. Per gli appassionati di heavy alternativo, con retrogusto post-metal e stoner-doom, i
Druids sono più che degni di essere aggiunti alla propria discografia del genere.
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