Mai smettere di sperare. Bisogna crederci, si può sempre fare di peggio(Osho)
Negli ultimi anni è diventato dannatamente difficile prendere sul serio la musica degli
Amon Amarth. Il gruppo di Stoccolma, una volta fiero portabandiera del death metal svedese con tutti i tratti che lo contraddistinguono, si è pian piano spostato verso una proposta più melodica e pseudo-epica. Questo cambio di sonorità graduale ha portato a due ottimi album ,
With Oden on Our Side e
Twilight of The Thundergod, ma si è presto tramutato in un porcaio fatto di musica sempre più vuota che non comunica nulla, che non scatena niente. E questo è un bel problema se inneggi continuamente a guerrieri nordici, potenti dei e cruenti battaglie.
La malinconia, il fomento, la carica, l’oscurità e la rabbia di una volta hanno da tempo lasciato il posto a parole vuote, nomi di dei buttati alla rinfusa, concept album malriusciti accompagnati da una musica poco ispirata in cui le idee latitano ed i tracca-tracca-trallalero abbondano.
I nostri cinque svedesi non sembrano preoccupati da questa perdita di qualità, anche perché i loro show sono molto seguiti e spettacolari (tra fiamme, spade e navi di cartapesta), il merchandising si vende alla grande, il loro nome diventa sempre più grosso a dispetto di una proposta musicale sempre più impalpabile. Ragionando come un azienda, mercificando il prodotto, espandendosi a più non posso non si può dir loro nulla. Io però sono un vecchio rompicoglioni che pensa ancora alla musica e non posso ignorare l’imbarazzo di un album come
Jomsviking o la sciatteria di
Berserker.
Ma torniamo a noi perché oggi gli
Amon Amarth tornano sul mercato con il dodicesimo album della loro lunga carriera, un lavoro chiamato
The Great Heathen Army che, lo dico subito, non è così pessimo come i due che lo hanno preceduto ma che rimane ben lontano dal poter essere considerato interessante. Quello che i nostri nordici eroi hanno provato a fare con questo nuovo capitolo è offrirci un panorama sonoro in grado di racchiudere lo stile degli ultimi 10/12 anni della loro carriera.
La partenza con "
Get in the Ring", devo dire, l’ho trovata sorprendente, più oscura e meno festante delle ultime cose proposte e mi ha fatto ben sperare. Ottimismo che ho provato a mantenere incontrando più avanti la piacevole “
Dawn of Norsemen” o, ancora, la scura “
Skagul Rides With Me” ma soppesando la qualità del platter ho dovuto fare i conti con quello che ci sta in mezzo. La
title track è lenta ed atmosferica, un mid tempo che eleva cori che vorrebbero fomentare ma che non smuovono nulla. “
Heidrun” è quello che odio nella musica presentato in una canzone da 4:42 minuti: una porcata tracca-tracca, piaciona e danzereccia. Manca solo Enzo Paolo Turchi a creare la coreografia. La velocità a tutta randa appare finalmente su “
Oden Owns You All” con un riff semplice e terzinato su cui viene presto inserita una melodia prevedibile come il rincaro delle autostrade a gennaio; di una piattezza che fa cadere le braccia. Prevedibile e ripetitiva anche “
Find a Way or Make One”, intrisa di metallo classico ottantiano. “
Saxons and Vikings” è un pezzo ammiccante, non malvagio ma telefonato, che vede la partecipazione di
Biff dei Saxon e che testimonia, una volta ancora, come la voce pulita stia bene sulla musica degli odierni Amon Amarth, a riprova che di death metal ormai non c’è più nulla. Chiude la pretenziosa “
The Serpent's Trail”, canzone che vorrebbe essere oscura e melodica ma risulta solo melodica e noiosa, con un non so che di progressivo e sinfonico. Brrr. Se vogliono provare nuove soluzioni per discostarsi un minimo dal sentiero, per fornire varietà, questo non è certamente il modo giusto.
Abbiamo quindi tre pezzi abbastanza apprezzabili (da 6,5), un paio giudicabili sufficienti, un altro paio non proprio riusciti (da 5,5) e un’accoppiata di cagate (da 4). Usando la matematica non riesco ad arrivare per poco al 6, valore che non sono in grado di raggiungere nemmeno soppesando il coinvolgimento delle canzoni, la bontà dei riff, la varietà a livello di songwriting e di liriche. Almeno l’ascolto di
The Great Heathen Army si rivela meno ostico del lavoro precedente, facilitato di una durata di 43 minuti, assai più digeribile rispetto ai 57 del suo predecessore.
Tirando le somme, devo constatare come la macchina Amon Amarth sappia muoversi egregiamente sul mercato per quanto riguarda lo show business ma, altrettanto limpidamente, devo constatare come la mancanza di idee, la piattezza generale, il riciclo di soluzioni, il poco coinvolgimento e il tanto mestiere affliggano le composizioni dell’ultimo periodo. Andiamo certamente meglio di
Jomsviking (imbattibile per pattumanza, forse), siamo sui livelli di
Berserker ma rimaniamo ben lontani dal poter considerare
The Great Heathen Army un disco riuscito. Il nuovo album degli Amon Amarth è semplicemente un tappabuchi impalpabile tra un tour e l’altro, una scusa per cambiare il backdrop e partire verso nuovi show, sicuri di radunare un grande pubblico.
In chiusura volevo soffermarmi un attimo sull’artwork imbarazzante di questo disco. Se già
Berserker aveva sfoggiato una cover realizzata con una maldestra computer grafica degna di Dances of Death, questa nuova roba pezzotta che dovrebbe rappresentare
The Great Heathen Army non può essere presa sul serio. Dai, ma comprereste mai una maglietta con quella roba lì? Ecco che ho preferito ritoccare la copertina proponendovi una versione alternativa, forse più in linea con l’attuale valore musicale della band.