Interessantissimo debutto discografico quello degli americani Forsaken Eternity, provenienti da Portland (Oregon), intitolato A Kingdom Of Ice, edito dalla connazionale Rottweleier Records.
I Nostri, capitanati dal polistrumentista di origini ucraine Vladislav Sergeevich (in arte "Vladimore”) che qui si occupa di chitarra, tastiera e basso, ci propongono un sound caratterizzato di base da una struttura black metal, imbastardito da partiture melodic-death ed impreziosito, a sua volta, da opulenti orchestrazioni symphonic-power, infarcite di arrangiamenti neoclassici (non è un caso che a chiudere l’album sia addirittura la cover di “Rising Force” del Maestro Malmsteen!)
A Kingdom Of Ice è un lavoro che si fa apprezzare per la naturalezza con cui queste sue diverse connotazioni si mescolano perfettamente tra loro, senza pestarsi assolutamente i piedi.
La ruvidità del sound estremo, a cui contribuisce la voce gutturale ed abrasiva di Nathan Mote, che fa da cornice ai brani e raggiunge l’apice proprio nella title-track, si fonde armonicamente sia con le suadenti linee melodiche delle tracce più epiche, come la velocissima (al limite della schizofrenia) A Dark Dvinity o l’evocativa Forsaken Eternity, sia con gli eleganti virtuosismi neoclassici dei pezzi più elaborati, come Ednless Light, la strumentale Sonata In CM o ancora la ficcante Shadow Fortress, caratterizzata dalle sue stilettate di chitarra e tastiere.
Insomma, il grande merito dei Forsaken Eternity è quello di riuscire ad amalgamare in modo lineare ed in poco meno di mezz’ora, differenti stili musicalii, tra loro anche assai diversi, creando delle atmosfere cosi intense, che talvolta potreste anche avere la sensazione di trovarvi nel mezzo delle fredde ed affascinanti lande scandinave, o nella Terra dei Mille Laghi.
Estremizzando il concetto; è come se nello stesso disco, si ascoltassero contemporaneamente Emperor, Dimmu Borgir, Dark Tranquillity, In Flames (di fine anni '90), Children Of Bodom, primi Sonata Arctica, con un pizzico di Stratovarius (nei momenti più intimi); ovviamente prendete i suddetti termini di paragone “con le pinze” e con le debite proporzioni!
Ad ogni modo, A Kingdom Of Ice è un disco scorrevole e dannatamente piacevole, in grado di catturare l’attenzione perfino dell’ascoltatore più distratto, in virtù della sua eterogeneità e della sua intensa spontaneità, oltre che per delle partiture melodiche indovinate e dei pregevoli tecnicismi strumentali.
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