La nomea del “progetto”, anche e soprattutto a causa dell’inflazione di tale soluzione espressiva, ha acquisito nel tempo un’accezione tutt’altro che positiva, ma sarebbe un vero peccato lasciarsi sviare da un pregiudizio e non testare con attenzione i
Restless Spirits, il
side project capitanato da
Tony Hernando.
“
Second to none”, ratifica in maniera ampia, dopo il valevole debutto eponimo, la capacità del chitarrista dei Lords Of Black nel sapersi abilmente destreggiare tra sonorità d’ispirazione
melodic rock, affidando i brani a
vocalist adattissimi ad esaltarne le peculiarità specifiche.
Qualcuno potrà obiettare, conseguendo in buona parte la mia personale adesione, che non è poi molto difficile impegnarsi nelle suddette assegnazioni potendo attingere dal munifico
roster della
Frontiers Music, e tuttavia ritengo che il buongusto e la sensibilità con cui i pezzi sono stati complessivamente congegnati e allestiti sia un aspetto da non trascurare.
Il resto, ovviamente, lo hanno fatto le facoltà interpretative e le virtù timbriche di quattro cantanti davvero dotati e ispirati, a partire da quel
Kent Hilli che continuo a considerare un vero campione “emergente” della fonazione modulata.
La voce di Perfect Plan e Giant apre e chiude il programma con la consueta destrezza e la sua tipica sapienza comunicativa, più evidente, invero, nella brillante
opener “
Need a lil' white lie” che non nel'lepilogo “
Dirty money”, comunque piuttosto apprezzabile.
Dopo una conferma tutto sommato “scontata”, arriviamo a convalidare anche il meno prevedibile (sebbene già intravisto nel suo albo di debutto) ruolo di spicco ricoperto da
Chez Kane (una potenziale “erede” delle varie
Lee Aaron,
Wilson sisters,
Fiona e
Robin Beck ...), testimoniato dall’ottima prestazione della
chanteuse britannica in “
Hey you”, “
Dreams of the wild” e nella fascinosa “
Until the end of time”, la mia preferita della pregevole terna.
A
Renan Zonta (Electric Mob), altro talento “in ascesa” della scena, non rimane, a questo punto, per non sfigurare, che sfoderare una
performance di livello sia nelle pulsazioni notturne e “ballabili” di “
A dream to be lost in time” e sia nelle leggermente meno efficaci “
And yet it breaks” e “
No time wasters”.
Stupirsi per le qualità di
Johnny Gioeli per chi ama questi suoni è quantomeno improbabile, eppure è sempre in qualche modo sorprendente rilevare come il nostro riesca a caratterizzare la “semplicità” armonica di “
Too many”, la grinta ponderata di “
Nothin' dirty here” e la passionalità di “
Always a pretender”, mettendo a frutto senza fastidiose autocelebrazioni quanto già ampiamente sfoggiato con
Axel Rudi Pell e Hardline.
I
Restless Spirits pur senza rappresentare degli imprescindibili protagonisti del
rockrama contemporaneo, interpretano la veste di “comprimari di lusso” con notevole dignità artistica … non male, tutto sommato, per un vituperato “progetto”.
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