Tra le più talentuose band uscite negli ultimi anni, i
Trial sono sempre riusciti a distinguersi nel calderone del “classic metal revival” attraverso una proposta ricca di personalità. Chi ci segue con attenzione sa quanto io sia rimasto colpito da
Vessel e dal suo sound oscuro e malinconico, imparentato in qualche modo con Mercyful Fate e Dissection, poi ancora da
Motherless, con le sue trame oniriche e progressive ma sempre oscure.
Ebbene, dopo tre anni di silenzio (interrotti solamente da un breve EP), gli svedesi tornano con diverse novità, con una formula rivista e con un cambio in formazione. Il buon
Linus, sempre istrionico e fuori dagli schemi con la sua voce, ha deciso di lasciare il gruppo in favore di
Arthur W. Andersson, proveniente dagli ottimi conterranei Air Raid (che sarebbe anche ora tornassero a farsi sentire).
Arthur ha un timbro simile a quello del suo predecessore ma un modo di cantare e di interpretare i pezzi molto più classic-metal e meno fantasioso, diciamo, ed il principale compositore della band (
Alexander Ellström) si è presto reso conto di dover trovare una soluzione: abbandonare in parte la sperimentazione e le aperture musicali "free form" sentite su Motherless e virare verso un sano heavy metal classico. Attenzione, non per questo le canzoni di questo nuovo
Feed the Fire sono banali, fatte di tre accordi e ritmiche scontate, sono semplicemente un po' più dirette e lineari rispetto ai lavori precedenti ma con una classe cristallina che tanti colleghi si sognano solamente.
Ho trovato la prima parte di "
Feed the Fire" forse quella più efficace, varia, coinvolgente, in cui i tratti i distintivi dei
Trial come certe dissonanze, chitarre in tremolo ed arrangiamenti sempre curatissimi si fondono alla perfezione con una certa immediatezza che ritroviamo soprattutto a livello di linee vocali. Tanto per capirci, negli album del passato non c'erano ritornelli da cantare, le canzoni erano in continuo sviluppo e venivano spezzate da cambi di tempo, di atmosfera e dagli svolazzi di
Linus, mentre ora è più semplice ricordarsi i ritornelli già al secondo/terzo passaggio. "
Sulphery" mi ha rimandato a qualcosa degli Helloween, "
Thrice Great Path "mostra una buona cura nella scelta delle linee melodiche e degli accordi, scartando le soluzioni troppo banali e abusate ed inserendo melodie ed accordi più ricercati e con un piglio un po' oscuro. Questa scelta di puntare su una maggiore incisività non stanca i successivi ascolti perché comunque le composizioni sono stratificate, ben curate e arrangiate, i cambi di atmosfera sono sempre presenti e la personalità della band emerge bene, come in occasione della fantastica "
In the Highest".
Lungo il disco è facile accorgersi di qualche influenza maideniana piazzata qua e là, sotto forma di melodie di chitarra che si ritagliano un loro spazio più esteso, come dimostra l'ottima "
Snare of the Fowler", brano a cui segue "
Feed the Fire", forse la più “metallicamente classica” come costruzione, meno ricercata ma assolutamente piacevole.
Una delle caratteristiche dimostrate dai
Trial nei lavori precedenti era quella di portasti dietro una certa oscurità e malinconia; situazioni che su questo "
Feed the Fire" troviamo meno frequentemente ma non per questo significa che sia un disco happy, anzi. Ecco, "
The Faustus Hood" è abbastanza lenta e cupa, intrisa di melodie non immediate e che fa il paio con la conclusiva "
The Crystal Sea" ed i suoi nove minuti spalmati su un un mid tempo melodico, sempre decadente e non gioioso che ti trasporta in un piccolo e piacevole viaggio senza sussulti. Personalmente avrei forse inserito uno stacco, un cambio di mood per renderla più incisiva ma mi rendo conto che significa lamentarsi del brodo grasso. Di tutti i brani presenti, forse solo "
Quadrivium" mi ha convinto un pochino meno per via delle sue linee vocali, il resto rimane costantemente su livelli di eccellenza.
Paradossalmente ci ho messo un pochino ad adattarmi, ad assorbire questo disco nonostante sia più immediato, probabilmente perché abituato ai lavori del passatoi. Una volta preso coscienza del fatto che non dovevo andare a ricercare quello che non c'è, che non ci sono sonorità astruse da decifrare, ho lasciato fluire la musica e sono finalmente riuscito ad apprezzare a pieno la grande bellezza di questo "
Feed the Fire".
Direi che anche stavolta (come già accaduto per
Vessel e
Motherless) ci rivedremo nel classificone riepilogativo di fine anno con il meglio del meglio.
Sapete cosa fare: ascoltate la buona musica e comprate e bei dischi!