Gli
House of Lords ritornano al
pomp del disco d’esordio e lo fanno con il fattivo contributo di un
keybords wizard prestigioso come
Mark Mangold.
Questi, in estrema sintesi gli elettrizzanti (e per certi versi un po’ “ansiogeni” …) presupposti con i quali affrontare “
Saints and sinners”, l’undicesima produzione sonora di una carriera di alto livello, iniziata con un autentico caposaldo dell’
hard-rock magniloquente.
La presenza di
Mangold, uno dei pochi in grado di sostenere il peso di un eventuale confronto con
Sir. Gregg Giuffia (per chi non lo sapesse, magnifico co-protagonista di quel favoloso debutto), fomentava immani fantasie nella mente degli estimatori del gruppo americano (e in quelli di American Tears, Touch, e Drive She Said, pure …) e se da una parte l’esito finale asseconda tante aspettative, dall’altra il consiglio è ancora una volta quello di evitare paragoni per tante ragioni improponibili e prettamente “pubblicitari”.
Intendiamoci, l’
album è ancora una volta intriso di canzoni di pregio, ammantate, in effetti, da una rilevante propensione
pomposa, ma per apprezzarlo al meglio è forse necessario spogliarlo da fardelli comparativi eccessivamente impegnativi.
Ciò detto, eccoci di fronte all’ennesima egregia prova vocale di
James Christian, stavolta coadiuvato da un altrettanto carismatico contraltare alle tastiere, mente le chitarre affidabili e sensibili di
Jimi Bell lo pongono in un ruolo piuttosto distante da quello del semplice comprimario.
La partenza è affidata ad una buona
title-track, sostenuta da un contagioso ritornello, e già dalla successiva autocelebrativa “
House of the lord” si capisce chiaramente che l’apporto di
Mangold al “nuovo (ri)corso” stilistico della
band è tutt’altro che marginale, regalando agli estimatori del settore un
brividino speciale.
Lo stesso che vibra con insistenza nei sensi di tutti gli
AOR-sters durante l’ascolto di “
Take it all”, brano impregnato di un’efficace e cinematografica melodia di derivazione
ottantiana, seguito,
ahimè, da una “
Road warrior” in cui il flusso emotivo tende ad affievolirsi a causa di una struttura armonica non molesta e tuttavia fin troppo prevedibile.
Fortunatamente ci pensa “
Mistress of the dark”, con il suo clima enfatico e il fascinoso
flavour seventies (qualcosa tra
R. J. Dio e certi Uriah Heep), ad aumentare nuovamente la mandata del rubinetto delle emozioni, stimolate pure dalla purezza romantica di “
Avalanche” e da una “
Roll like thunder” che inietta una bella dose di energia e di approccio
anthemico in un tessuto espressivo elegante e suggestivo.
Queen, Led Zeppelin e Deep Purple alimentano “
Razzle dazzle” e “
Dreamin it all” e sebbene si tratti di forme ispirative ben metabolizzate ed egregiamente trascodificate, trovo maggiormente incisivi l’
hard-blues sfarzoso di “
Takin my heart back” e le pulsazioni (un po’ “semplicistiche”, invero) di “
Angels fallen”, poste a sigillo di un albo con tante luci e qualche piccola ombra.
Il sodalizio artistico tra
James Christian e
Mark Mangold fornisce già ottimi risultati e sono convinto che in futuro potrà fare ancora meglio, riportando gli
House of Lords ai vertici assoluti della “scena” di riferimento … per ora non rimane che “accontentarsi” di “
Saints and sinners”, l’eccellente “primo passo” di un auspicabile percorso comune piuttosto promettente.