Prima di iniziare a dire la mia su questa nuova fatica, la dodicesima della formazione polacca devo fare una piccola chiosa polemica.
Da tempo il trio, grazie al leader
Adam “Nergal” Darski è sulla bocca di molti perché attua con intelligenza, a volte esagerando a mio modesto parere con le provocazioni, una campagna di promozione facendoli conoscere su larga scala.
Questo ha portato ad avere sui social network numerosi leoni da tastiera che blaterano a vuoto con aggressività attaccandoli o attaccandone il frontman (che furbescamente aizza certe reazioni); questo comportamento sinceramente mi disgusta, perché troppo facile per avere visibilità, certi ragliatori associati attaccano questo o quell’altro perché famoso, solo per vedere come diceva il saggio e compianto
Jannacci, l’effetto che fa.
Ora partiamo col dire che il precedente “
ILYAYD” non mi aveva entusiasmato; pur avendo avuto qualche buono spunto, era chiaramente un disco di transizione che ha portato questo nuovo opus a focalizzare meglio certi aspetti.
Questo ritorno è un attacco a testa bassa non solo musicalmente ma anche concettualmente, bisogna leggere tra le righe delle liriche per capire il significato profondo dei nostri.
Ma come al solito, l’assalto è mirato, pensato e voluto; dopo l’evocativa, inquietante “
Post-god nirvana” dal tambureggiare minaccioso e con il frontman che arringa, ecco l’assalto senza fronzoli di “
Malaria vulgata”; blackened death metal di alta classe con
Orion che polipeggia da par suo e il riffing maligno che si avviluppa come le spire di un boa, solo perfetto e melodico.
“
The deathless sun” è potente, i cori rendono ancor più drammatica la resa del tutto; attacco in modalità up tempo che lascia il passo a blast beat e un chorus in mid tempo letale.
“
Neo-Spartacvs” è fomento puro; pezzo da battaglia con
Nergal sugli scudi, basso chiaro e possente ma soprattutto mi occorre dare una lode al drummer polacco perché è dinamico, saggio nel dosare colpi sonori e rende il tutto un muro impossibile da non notare.
“
Off to war!” gioca su un riff serrato in up tempo che lascia tracimare atmosfere malsane in un mid tempo doomy aiutato da cori, salvo poi sul finale dare una mitragliata in blast beat.
Chiudo con l’ultima traccia, amara e che mi ha veramente colpito; una sorta di climax pessimistico e blues in odor dei migliori
Tom Waits e
Nick Cave, sottolineato da un cantato pulito basso e chiaro ma corrotto da incursioni estreme rabbiose e cariche di pathos; una sorta di rabbia disperata che agita il pugno contro il cielo in segno di sfida.
In conclusione, questo nuovo lascito musicale della formazione è complesso, per capirlo ed apprezzare le stratificazioni sonore ed emozionali va ascoltato più volte ma ne vale la pena, Magnum Opus!
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