Finalmente tornano alla ribalta i rockers veterani
The Hellacopters, che purtroppo avevamo visto sciogliersi nel 2008 dopo la pubblicazione di "Head off". Recentemente erano ricomparsi per sporadiche esibizioni live, anticipazione dell'uscita di questo nuovo capitolo discografico (l'ottavo della carriera) targato
Nuclear Blast.
La band si era formata nel 1994 come progetto dirty-punk rock di
Nicke Andersson (di fama Entombed) e del chitarrista Dregen (co-fondatore dei Backyard Babies) ed aveva ben presto ottenuto grande successo, dapprima in patria e poi a livello internazionale. Il loro album d'esordio "Supershitty to the max!" (1996) vinse il Grammy svedese come miglior disco hard rock e proiettò il gruppo sul palco insieme a gente come Kiss, Foo Fighters, Gluecifer, The Hives e quant'altro. La loro miscela high-energy rock, che si pone come un incrocio tra Mc5, Motorhead, Kiss e attitudine punk-metropolitana, è considerata l'origine di una vera e propria new wave rock scandinava.
Buon vecchio sporco rock'n'roll, con la sua indole maleducata, selvaggia ed un pò cafona. Il sound che questa band ha proposto dai lontani esordi e che continua a proporre ancora oggi. Certo, non c'è più la grezza irruenza di un "Payin' the dues" o "Grande rock", sostituita da una solida componente classic-hard legata alla maturazione anagrafica e professionale. Però il tiro rimane bello teso e vitaminico, i riff e gli assoli incidono e colpiscono, la voce di
Nicke mantiene quel timbro leggermente alcolico perfetto per questo stile ed i ritornelli anthemici (grande punto di forza da sempre) sono esattamente come li aspettano i fans.
Micidiale la partenza di "
Reap a hurricane", uno di quei pezzoni dirty rock che fanno venire voglia di dimenarsi sotto il palco. Potenza e grinta sono quelle dei bei tempi, l'eco degli Mc5 e dei Motorhead più rockettari aumenta la presa del brano. Molto bene anche la brevissima "
Can it wait", più stradaiola e con vocals appena velate di amarezza. Il coro si stampa in testa a tempo zero, brillante.
Con "
So sorry I could die" si apre lo spazio per le variazioni tematiche. Un bluesettone cadenzato e sofferto, con tanto di pianoforte in sostegno. L'atmosfera mostra un taglio drammatico e sofferente, l'assolo è tirato e potentemente bluesy. Nell'insieme un brano di maniera, ma di buon effetto.
La title-track è un up-tempo che mischia radici seventies (qualcosa di Purple-iano) con la caratteristica tendenza catchy degli
Hellacopters. Canzone perfetta per le radio rock, tesa ma non caotica, refrein ficcante e chitarre acuminate, lo smalto della formazione non sembra affatto intaccato dal tempo.
Invece "
A plow and a doctor" è un colpo a salve: troppo piaciona ed orecchiabile, troppo americana, troppo ammiccante e glitter. Personalmente non mi ha convinto. Meglio il mood tradizionale di "
Positively not knowing" che possiede l'urgenza punk tipica del gruppo, un episodio non eccellente ma di sicuro impatto live a livello di grinta e testosterone.
La doppia chitarra in "
Tin foil soldier" è un evidente richiamo ai Thin Lizzy, ma si tratta di un altro pezzo troppo educato e quasi BonJoviano per fare davvero breccia tra i fans della prima ora. Lo slow dark-blues intinto nell'hard "
The pressure's on" coniuga una dinamica ribelle con pennelate di melodia nostalgica, una bella atmosfera da "beautiful losers" a stelle e strisce alza il livello della canzone. Asprezza notturna e melodia accattivante, traccia pienamente riuscita.
Finale in crescendo con il potente street-rock "
Try me tonight", bello grezzo e coinvolgente, tanta energia e molti richiami al passato. Ritorna la rabbia e l'impulsività del passato, grazie ad un tiro caldo e roccioso. Il passo accellerato, il coro implacabile, gli assoli brucianti, qui c'è l'essenza del rock originale e ghiandolare. La coda convulsa ed insistente fa venire voglia di riascoltare tutto dal principio, cosa sempre meritevole per un disco di questo tipo.
Se teniamo conto dei quattordici anni trascorsi dall'ultimo lavoro, il presente "Eyes of oblivion" è un ritorno più che dignitoso. Meno squassante rispetto ai classici di fine '90 inizio 2000, ma pur sempre un buon esempio di rock cazzuto e bellicoso. Il tempo ha portato Andersson e soci verso un atteggiamento maggiormente ragionato ed in alcuni casi occhieggiante le nuove generazioni, più abituate alle laccature orecchiabili e vagamente pop, ma la tempra rozza e carnale degli svedesi affiora a più riprese nei brani in scaletta. Bentornati The Hellacopters, di bands oneste e viscerali come voi c'è sempre bisogno.