Prosegue la brillante carriera di
Christian Sjötrand, meglio noto come "
Spice", che dai tempi degli Spiritual Beggars si è costruito una solida reputazione personale attraverso Kayser, The Mushroom River Band, Spice and the RJ Band e la sua attuale evoluzione in
Band of Spice. Il cantante/chitarrista svedese ha sempre promosso uno stile-ponte tra gli elementi rock seventies e la moderna carica heavy fatto di rocciosità, grinta, visceralità e grande attenzione verso un songwriting pungente e ben congegnato. Energia rock diretta e pulsante, con una patina vintage appena accennata che ritroviamo in forma similare in nomi come i già citati Beggars, i Grand Magus, i Vintage Caravan, i Sacri Monti, magari anche i Clutch.
Al traguardo del quinto full-length i
Band of Spice hanno comunque ormai maturato una identità ben riconoscibile, grazie al rifferama sempre ispirato ed alla voce virile di
Spice (niente urla stridule nè tonalità orchesche, semplice canto pulito e fiero da vichingo alcolico). L'affiatamento con il bassista
Sekulovski ed il drummer
Ruben si è cementato nel tempo, cosa che rende il trio una macchina hard'n'heavy registrata e calibrata in ogni occasione.
Questo "
How We Play the Game" prosegue speditamente sulle coordinate dei precedenti "Shadows remain" (2017) e "By the corner of tomorrow" (2021): buone canzoni, solido groove (con lontani agganci allo scandi-stoner), cipiglio dinamico e muscolare. L'opener "
Gone insane" parte con un breve e delicato arpeggio acustico, ma è un pezzo serrato come roccia in puro
Spice-style. Canzone molto metallica, tesa, che preannuncia il lavoro più pesante e impetuoso prodotto dalla band scandinava. Bello il refrein velato di gelida malinconia, ma l'insieme è decisamente aggressivo e battagliero con qualche eco Sabbathiano mai assente in questo contesto stilistico.
C'è tutta una serie di canzoni tetragone e high-energy rock ("
Demonized", "
Control", "
Below the sun") che avanzano spedite e squadrate con un'attitudine heavy assai pronunciata, trovando il culmine nel quasi-thrash della virulenta "
Offside". Aleggia sull'intero lavoro un retrogusto rabbioso ed urgente, stemperato da elementi stoner-melodici che distinguono questo tipo di formazioni da quelle più classic metal, pur riuscendo ugualmente ad esprimere grande forza d'urto.
Oltre che ottimo cantante,
Spice è diventato nel tempo anche validissimo costruttore di riff. La semplicità granulosa di una "
My game" (brano galoppante molto metal), l'incursione nel doom di "
Descending" (lenta, cupa, sofferta, atmosferica, con citazioni dei Sabs a manetta) o il graffiante incedere cadenzato e possente in "
Little casino", testimoniano che ormai il nostro
Christian padroneggia con sicurezza uno spettro di influenze ed inflessioni assai variegato. Non un innovatore, ma un artigiano molto competente e dotato.
Buona prova per i
Band of Spice, dai quali non ci attendevamo nulla di particolarmente sorprendente bensì una conferma del loro livello di qualità. Se vi sono piaciuti i dischi precedenti, non rimarrete sicuramente delusi.
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