Vi fu un tempo lontano nel quale i giovanissimi Led Zeppelin suonarono come "spalla" dei già affermati
Vanilla Fudge. Era il '68, primo tour Usa degli Zeps, ed i
VF (formatisi nel 1965 come The Pigeons) erano in forte ascesa grazie al loro stile innovativo che univa la psichedelia sixtiees ad un hard rock con tinte progressive, denominato dai critici dell'epoca "psychedelic symphonic rock". Nell'arco di tre anni ('67 -'69) gli statunitensi incisero ben cinque album, contribuendo in maniera significativa al consolidamento del movimento psych-rock ed ottenendo un considerevole successo soprattutto grazie a brillanti e personalissime cover (una costante della loro carriera) come "You keep me hangin' on" delle Supremes o "Some velvet morning" di Lee Hazlewood (cantata anche da Nancy Sinatra). La line-up originale della band (che ritroviamo al completo nel presente lavoro) era composta da nomi come il batterista
Carmine Appice ed il bassista
Tim Bogert (che successivamente formarono il power-trio Beck, Bogert, Appice), con il chitarrista
Vince Martell ed il tastierista/vocalist
Mark Stein.
Il passaggio al decennio '70 segna lo spartiacque nella storia delle due formazioni: gli americani si sciolgono (diventando in seguito una sorta di cult-band per i retrò-rockers) mentre il dirigibile britannico decolla verso lo status di leggenda immortale dell'hard rock a livello planetario.
A distanza di oltre mezzo secolo, gli ultra-settantenni
Vanilla decidono di rendere omaggio a quella mitica epoca pubblicando un album di cover dedicato interamente ai Led Zeppelin, quasi una chiusura del cerchio artistico-temporale.
Occorre chiarire subito un concetto: queste sono le canzoni degli Zeps "interpretate" dai
Vanilla Fudge con la loro sensibilità musicale. Non aspettatevi riletture troppo identiche agli originali, perchè non lo possono e non lo vogliono essere. L'esplosività hard di Page e soci ventenni è fuori dalla portata di questi vetusti psico-rockers entrati ormai nella terza età. Inoltre i
Fudge hanno sempre cannibalizzato i brani di altri musicisti (vedi anche Beatles e Donovan) cercando di renderli "propri" talvolta snaturando l'essenza di tali canzoni. In alcuni casi l'operazione è riuscita alla grande, in altri molto meno.
Esattamente quello che accade nel presente lavoro, che esprime momenti di buona personalità ed intuizione creativa ad altri che lasciano francamente perplessi. Ovviamente la voce di
Stein non può competere con gli incredibili sbalzi timbrici dell'era aurea di Plant e quindi si attesta su registri molto più morbidi e controllati, inoltre la presenza costante degli arrangiamenti di tastiere offre un mood decisamente orientato verso la pop-garage-psichedelia anzichè sulla determinazione grintosa dell'hard rock bluesy.
Chiarito questo, il disco vive di episodi piacevoli come una fiammeggiante "
Rock and roll" molto stile primi Deep Purple, una "Immigrant song" abbastanza coerente all'originale ma con una vibrazione prog-soul stuzzicante, una "
Your time is gonna come" romantica e prog-psichedelica dal mood decisamente sixtiees ed una funk-version di "
Trampled underfoot" dall'atmosfera danzereccia ed estremamente vitale. Bene anche l'appassionata eleganza di "
All of my love", dalle timbriche americane, così come "
Moby dick" che ci regala l'assolo del settantacinquenne
Appice (che nei tempi remoti ebbe influenza nientemeno che su John Bonham).
In altri episodi, il processo di interpretazione dei
VF produce risultati più discutibili. "
Ramble on" diventa quasi una rilettura funk-rock alla Glenn Hughes ma con meno tensione e carisma, "
Dancin' days" (già di per sè non uno dei brani più gloriosi degli Zeps) risulta piatta e banale ed anche la mitologica "
Babe, I'm gonna leave you" perde completamente quell'aura di drammaticità sofferente che ha conquistato generazioni di rockers, scivolando via con un retrogusto di routine un pò manierosa.
La classe ed il mestiere di questi musicisti ultra-veterani non si discute e neppure la sincerità ed il trasporto del loro lavoro. Però questo tributo, pur di buona personalità e particolarità, presenta passaggi brillanti e qualche battuta a vuoto. Potrà piacere molto ai canuti fans dei
Vanilla Fudge, che ritroveranno il feeling trasversale caratteristico della band americana, magari piacerà meno agli Zeppeliniani duri e puri che si troveranno di fronte ad alcuni classici snaturati nelle loro componenti primarie. Inoltre l'ennesimo omaggio ai Led Zeppelin, per quanto degno di interesse visti i nomi degli artisti coinvolti, non può ottenere altro risultato che rimarcare l'eterna gloria dei geni che hanno creato gli originali.