Lo ammetto … non conoscevo i
Midnight Rider, e a mia parziale “discolpa” aggiungo che è diventato parecchio difficile districarsi nell’
overdose di nuove (o “seminuove”, come in questo caso …) formazioni che si rifanno pesantemente all’
hard settantiano, contribuendo alla saturazione di un mercato discografico vicino al collasso.
Ebbene, da
fan del genere, ascoltando “
Beyond the blood red horizon” non posso far altro che incensare il gruppo teutonico, per il modo in cui cavalca i nobili “luoghi comuni” dell’
hard n’ heavy caliginoso, costruendo impianti sonici capaci di celebrare nel migliore dei modi i “soliti” Black Sabbath, Rainbow, (primi) Judas Priest e Led Zeppelin, a cui si aggiungono nomi maggiormente di “culto” del calibro di Budgie, Mayblitz, o (per rimanere in Germania) Lucifer’s Friend.
Gli elementi costitutivi del settore ci sono tutti, eppure a distinguere i nostri dai molti “colleghi” con analoghe fonti ispirative è l'abilità e la tensione espressiva con cui è stato realizzato l’impianto sonoro di un albo che suona come una versione molto credibile di traslitterazione dei
Maestri nei tempi attuali, il tutto senza peraltro aggiungere nulla di veramente “moderno” alla proposta musicale.
Un concetto non facile da spiegare in maniera razionale, ma se avete apprezzato quanto già proposto da Graveyard, Horisont, Scorpion Child o Hällas forse potete comprendere più agevolmente i motivi di tale considerazione, riconoscendo alle composizioni dell’opera quel “carattere” compositivo e interpretativo sconosciuto ad una buona fetta dei
retro-rockers contemporanei.
E poi c’è l’ugola “nasale” di
Wayne ad accrescere la suggestione emotiva di chi riesce ad immaginare un
Ozzy Osbourne andato a scuola di canto da
Rob Halford e
Robert Plant, un’iperbole comparativa atta a sottolineare una modalità vocale fascinosamente “obliqua”, vibrante e intensa.
Il brano che introduce e dà il titolo alla raccolta fornisce fin da subito in maniera nitida i termini della “questione”, alimentando i sensi dell’astante con un’evocazione ipnotica e avvolgente, resa appena meno efficace da un
refrain un po’ troppo ripetitivo, laddove già dalla successiva “
Majestic warfare” i
Midnight Rider cominciano a fare veramente “sul serio” suggestionando nel profondo grazie a un
riff pulsante ed ellittico, ben supportato da una struttura armonica che potrebbe tranquillamente scaturire da una sessione creativa in coabitazione tra Black Sabbath, Judas Priest e Led Zeppelin.
“
No man's land” e “
Intruder” sono invece “figlie legittime” dei soli
Sabs, condotte dal basso greve di
Cliff e dalla chitarra fremente di
Blumi, eccellente epigono
Iommiano e perfetto contraltare dell’
Osbournesco Wayne, impeccabili nei rispettivi ruoli anche quando si tratta di pilotare la litania liquida “
Time of dying”, ben assecondata negli scatti ritmici dai tamburi possenti di
Tim.
“
No regrets” alleggerisce i toni soprattutto nel vaporoso ritornello, e se il clima agreste di “
Rising dawn” introduce il
groove imperioso di “
Demons”, a “
Your parole” è affidato il compito di far provare un brividino speciale agli estimatori di “
Rocka rolla”, mentre la scattante “
Always marching on” è dedicata agli “orfani” di
Ritchie Blackmore, rievocando i tempi in cui il
rock n ’roll era ancora la sua palestra artistica prediletta.
“
Beyond the blood red horizon” è in definitiva un bel concentrato di energia e virtù emozionali, e poco importa se per ottenere questi risultati i
Midnight Rider attingono a modelli ampiamente consolidati e collaudati … molto bravi.