Voices of Victory... All Shout and proclaim... The Kingdom of Glory is mine...Era ora che gli
Screamer tornassero sotto il mio occhio inquisitore, visto che il buon Frank con inganno satanico aveva sottratto al mio insindacabile giudizio il loro "Highway of Heroes" (2017), dopo che il sottoscritto si era prodigato nel raccontarvi, su queste stesse pagine, dei primi tre album della formazione svedese.
Fatti i conti, "
Kingmaker" è il quinto album del quintetto svedese, ovviamente non tenendo conto dell'autoprodotto "Live Sacrifice" uscito nel 2021, e come per i precedenti si rimane ancorati ad un classico Heavy Metal ottantiano che non vuole rinunciare ad una marcata contaminazione Hard Rock.
In passato li abbiamo accostati a diverse band, dai Thin Lizzy, Heavy Load, Saxon, Iron Maiden e Def Leppard sino a Haudrey Horne, Enforcer e Haunt, e le coordinate musicali restano sempre quelle e, ancora all'insegna della continuità, è altrettanto evidente quel graduale miglioramento che si poteva già cogliere nel susseguirsi dei loro lavori, tanto a livello compositivo quanto nelle prestazioni individuali.
Su "
Kingmaker", chi maggiormente mette in mostra i propri progressi è il cantante
Andreas Wikström che vede il suo vocione caldo e potente approfittare di un songwriting che nell'occasione sembra avere dato maggior spazio agli impulsi più hardeggianti, certo che la loro bella figura la fanno anche i due chitarristi, il veterano
Dejan Rosić e
Jonathan Morheim (al suo esordio con gli
Screamer), ad esempio con i semplici ma efficaci assoli di "
The Traveller", nei riffs priestiani di "
Rise Above" o "
Hellfire" e in quelli più quadrati e affini agli Accept di "
Burn It Down".
Gli
Screamer partono subito bene con la veemente titletrack e poi lasciano il segno anche su brani come "
Chasing the Rainbow", pulsante (grazie al lavoro della sezione ritmica formata da
Henrik Petersson e
Fredrik Svensson Carlström) e scattante, con quel suo andamento spiccatamente old-style, che potrebbe sembrare un velato omaggio alla band "
celata" nel titolo della canzone. Non è niente male nemmeno "
Sounds of the Night", episodio che richiama i Dokken, ma se proprio dovessi scegliere il brano più rappresentativo dell'intero disco, punterei tutto sul mid-tempo "
Ashes and Fire", dove riecheggia (nuovamente) l'anima del mai abbastanza rimpianto Ronnie James Dio oppure sulla più ottantiana del lotto: la arrembante e allo stesso tempo ammiccante "
Renegade".
Ma, tutto sommato, su questo "
Kingmaker" dove peschi... peschi comunque bene.