Cera una volta “
Host”, album del 1999 dei
Paradise Lost, l’unico per la major
Emi col quale la band albionica dette il colpo netto di taglio nei confronti delle proprie origini metal già escluse in parte con il precedente album e la volontà di fare il salto di qualità nel mainstream.
Purtroppo questa scelta artistica motivata all’epoca non venne capita e quel miracolo che era capitato ai
Metallica qui purtroppo non si è ripetuto e i nostri piano piano ritornarono a Canossa.
Ma certo fuoco covava ancora sotto la cenere, perché ora quel titolo è diventato il nome del progetto di due membri della formazione di Halifax nel quale possono dare sfogo alla loro passione per le sonorità synth pop anni 80 e per le influenze depechemodiane.
Esordio devo dire coraggioso ma di buon livello, prodotto bene, in modo non freddo; il suono sembra organico e caldo nonostante l’elettronica sia preponderante.
Un brano che mi ha colpito molto è “
Tomorrow’s sky”, pezzo che sembra scritto dalla penna del miglior
Martin Gore.
Nick Holmes offre una prestazione vocale pulita con toni profondi ed un chorus cantabile; la chitarra è presente nel solo e la batteria elettronica come i sintetizzatori tengono il ritmo ballabile che potrebbe passare nelle discoteche alternative.
“
Divine emotion” è una ballad avvolgente, oscura, condotta dal piano e che cresce piano piano.
Qui c’è la forza di questo progetto, saper ricreare la magia di un tempo passato ma non essendo nostalgici e soprattutto posticci; le orchestrazioni sono punteggiature che in sede di ritornello calzano alla perfezione.
Qui di metal non ne troverete neanche l’ombra, anzi nei brani più organici dove abbiamo interventi di una batteria vera e chitarre in luogo di tastiere e sintetizzatori il mood è più rock, riletto in chiave più oscura, nulla a che vedere con la band madre, un esempio lampante è “
Hiding from tomorrow”.
Un altro brano interessante è “
Inquisition”, lento, dark e sorretto da tastiere e un tappeto ritmico elettronico.
La voce del frontman è carezzevole, ma con il chorus cresce di tono con pathos drammatico e riff puliti di chitarra.
Album d’esordio molto interessante, non è un capolavoro sia chiaro, però è palpabile la passione che anima il duo
Mackintosh e
Holmes; consigliato a chi ha la mentalità molto aperta.
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