Ed eccoci qua, un’altra volta, a commentare le gesta discografiche di un figlio della ricca nidiata dei
retro-rockers, innamorato, nello specifico, dell’
hard n’ heavy settantiano, con l’effige di Diamond Head, Wishbone Ash, Thin Lizzy, Budgie e Blue Öyster Cult stabilmente presente nelle sue intenzioni artistiche.
Lasciando al
glorioso lettore valutare se questo imponente
trend “nostalgico” sia il segno di un pericoloso vuoto creativo prossimo al collasso o la semplice conferma dell’immortalità di certi suoni, mi limito a commentare l’operato di questi validi
Firmament, tedeschi di Lipsia con un passato nei Tension (ovviamente non quelli di “
Breaking point”, noti soprattutto per la militanza di
Timmy Meadows, fratello del mitico
Punky degli Angel).
Il loro “
We don’t rise, we just fall” è un dischetto abbastanza piacevole, composto di canzoni non particolarmente elaborate e melodicamente piuttosto “lineari”, eppure non fastidiosamente banali, almeno se vi ritenete estimatori dei suddetti numi tutelari e dei loro numerosi epigoni.
La saturazione di proposte simili appare tuttavia un’importante “complicazione” per un gruppo che non riesce allo stato attuale a caratterizzare o rendere in qualche modo catalizzante il suo
songwriting, mentre garantisce una certa validità esecutiva e un discreto fascino nella voce “nasale” e vagamente monocorde di
Maik Huber (oggi sostituito da
Marco Herrmann).
Insomma, non siamo certamente di fronte ai nuovi “fenomeni” del settore e ciononostante l’ascolto di pezzi come “
Firmament”, "
The void", “
The dreams of misery", “
No future”, della
metallica "
On the edge" e della Diamond Head-
esca “
Live in the night" non si rivela per nulla sgradevole, assicurando nell’astante un misto di calore emotivo ed energia, immerso in un crogiolo di reminiscenze della
Storia del Rock.
Emergere nella costipata scena attuale ha sempre più il carattere dell’impresa, e ai
Firmament manca probabilmente ancora qualcosa in fatto di forza espressiva per ambire a ruoli prioritari … forti delle buone vibrazioni di “
We don’t rise, we just fall”, li attendiamo, pertanto, ad una prossima prova di maggiore maturità e ispirazione.
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