Continua la parabola altalenante di
Liv Kristine, dea del gothic metal, madre fondatrice di
Theatre of Tragedy e
Leaves’ Eyes (tra gli altri), voce sopraffina ed iconica; voce che però, da qualche tempo, non ne imbrocca una.
Come già successo per i lavori precedenti, questo “
River of Diamonds” ci presenta Liv alle prese con un rockettino un po' oscuro e gotico, ma che non fornisce mai composizioni degne di nota; la prestazione della stessa cantante non è obiettivamente all’altezza dei fasti del passato, e questo non per composizioni particolarmente difficili o ‘rischiose’ in estensione, proprio il contrario! Qui i brani sono tutti molto morbidi, e Liv li canta con fare languido, ma risultando spesso poco convincente; non aiuta la decisione di registrare le voci 'doppiando' la propria voce (cosa molto comune in studio), non aiuta soprattutto se si fa fatica a tenere la nota centrata: raddoppiando l’operazione, come potrete immaginare, il risultato è stridente come unghie sulla lavagna. Per fortuna l'inconveniente non è frequente, ed ogni tanto c'è spazio (al netto di brani poco interessanti) di godere della bella voce di Liv.
“River of Diamonds” beneficia della presenza di vari ospiti: c’è Fernando dei Moonspell sulla title track, c’è Østen Bergøy (Long Night, Tristania) su “
Our Immortal Day”; finanche la sorella Carmen Elise Espenæs (Savn, Midnattsol) ed il marito Michael Espenæs appaiono in due tracce! Un affare di famiglia insomma… Completano il quadro due cover: una prevedibile, “
True Colors” di Cindy Lauper ha una quota malinconica e ben si adatta; l’altra è una sorpresa spiazzante: si tratta di “
Pictured Within”, tratta dall’album solista omonimo di Jon Lord! Decisamente una scelta inaspettata (è la traccia cantata col marito) che sinceramente riesce solo a spaesare ancor di più. Non fraintendetemi, l’album è delicato, morbido come una coperta di pile, e sicuramente ha qualcosa da dire, ma purtroppo non ha quella magia che lo fa ricordare dopo l’ascolto.
“River of Diamonds” insomma è inoffensivo, prodotto benino, ma non riesce a risollevare il glorioso nome di Liv Kristine ai fasti che le appartennero in passato. Come direbbe Mark Hollis (r.i.p.), “such a shame”.
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