A volte succede - anzi diciamo pure abbastanza spesso - ed è anche per questo motivo che nonostante gli impegni quotidiani sempre più pressanti e le inevitabili difficoltà varie della vita “reale”, adoro dedicare il mio “tempo di qualità” a scrivere di musica.
Senza troppe aspettative, pochi segni premonitori e scarsa pubblicità, grazie a questo “lavoro” di scribacchino, arriva ad essere sottoposto alla mia attenzione un disco che mi ha davvero colpito in maniera favorevole, ed in un settore stilistico affollato e competitivo come quello dell’
hard-rock blues.
Gli autori dell’opera in questione, intitolata (non a caso) “
For the love of blues” si chiamano (non a caso)
Pontillo and the Vintage Crew e sebbene avessi già apprezzato le doti vocali del loro
leader, non immaginavo davvero di trovarmi di fronte ad un
album di così pregevole fattura, capace di dispensare sentimento, calore e tensione attingendo a piene mani dalla tradizione, filtrandola attraverso un setaccio di valori tecnico / compositivi piuttosto rilevanti.
Chi ha conosciuto
Gianni Pontillo per le performance con Pure Inc. e Victory, qui lo ritroverà in splendida forma e agli altri
rockofili, a patto che amino i timbri granulosi e pastosi, consiglio di concedere una possibilità a questo eccellente interprete della fonazione modulata.
Il resto lo fa una formazione solida e affiatata, che muovendosi sulle medesime coordinate sonore di Black Country Communion, Whitesnake e Badlands, esplora con innata disinvoltura soluzioni espressive molto collaudate riuscendo nell’intento di stimolare la produzione della benefica scossa emozionale.
Difficile, infatti, se vi piacciono questi suoni, non vedere attivati i gangli dell’emozione per il
groove denso della
title-track, per il vibrante
mid-tempo (una sorta di fusione tra Roxette, Led Zeppelin e Whitesnake!) “
City of gold” o ancora per la
ballatona “
Long time gone” e lo
slow sinfonico “Between the lines”, due momenti malinconici e struggenti, corredati da quel pizzico di “modernità” che li rende adatti pure alla radiofonia contemporanea.
A questo punto
Pontillo decide di celebrare le sue origini ed ecco che “
Io senza te” dimostra ancora una volta che il
rock può “funzionare” egregiamente anche utilizzando l’idioma italico, mentre “
Falling in love” e “
Sing the blues” (Deep Purple meets Aerosmith) sono altri roventi
bluesacci ad alto voltaggio, ottimamente sviluppati da tutta la
band.
Dopo la buona “
The keeper” è tempo della sentita dedica piano e voce per l’indimenticato
Chris Cornell denominata “
CC song” e per una melodrammatica “
Sound of hope” che si spinge, tra
folk,
soul e
blues, ad evocare addirittura certe cose degli U2.
Insomma, “
For the love of blues”, non farà cambiare idea agli irriducibili, sia che si tratti di “modernisti” (alla ricerca parossistica dell’originalità
tout court) o “tradizionalisti” (che considerano ogni seguace dei
Maestri una loro “brutta copia”) e ciononostante appare una sostanziosa opportunità di soddisfazione uditiva per tutti gli altri estimatori del genere.
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