Dopo 4 anni d’assenza sul mercato torna una delle migliori symphonic black metal band degli anni ’90 ah no aspettate un attimo … il gruppo si é formato nel 2013 ma ascoltando tutta la loro (ottima discografia) non ce ne se ne rende assolutamento conto … Il debut
‘Through Infinity Of Darkness’ era una sorta di omaggio agli
Emperor che furono, fatto in maniera coscienziosa e con grande gusto. Dal seguente
‘When The Shadows Rise’ il duo carioca ha preso un po’ le distanze dai loro propri padri putativi, senza mai rinnegarli, e oggi approda alla perfetta fusione di quanto di meglio proposto in ambito sinfonico nella norvegia di fine millennio … Prendete gli immancabili
Emperor, aggiungeteci un inevitabile tocco dei migliori
Dimmu Borgir e dategli una bella passata di
Limbonic Art e otterrete la magnificenza di
‘A Journey To The Darkest Kingdom’ ! In effetti se siete un po’ più giovani potreste semplicemente pensare alla fusione di
Vargrav con
Mooncitadel e sareste ancora più prossimi alla comprensione della band… detta cosí i
The Kryptic rischiano di passare per degli abili maestri del ‘copia e incolla’ e questo non non sarebbe e non é giusto, in quanto il duo brasiliano sa esprimere in maniera propria ció che ha imparato dai grandi del passato e cosí, seppure in
‘The Rotten Wounds Of The Blessed’ si manifestano i
Dimmu Borgir di inizio carriera, é altrettanto vero che il pezzo esprime una sua personalità plumbea ed oscura solo mitigata dall’accelarazione che a metà pezzo, eleva il brano a vero highlight dell’album. I restanti brani sono tutti indistintamente molto validi, con strutture articolate e molto lunghe che peró non annoiano mai grazie ad una capacità tecnico-compositiva di rilievo. Una mia ulteriore preferenza tra i pezzi proposti va a
‘Unhallowed’ dove i
Limbonic Art di
‘In Abhorrence Dementia’ si prendono la scena … I solos e le vocals declamatorie (sia in
‘Into The Blasphemy Ritual’ che in
‘Bloodthirsty The Mighty Bestiary’ ) arrichiscono ancor di più la proposta che puó, ovviamente, contare sempre su grandi fughe tastieristiche e melodie di ampio respiro. Se c’é un appunto che si puó fare all’album é che in tanta ‘pomposa perfezione’ si perde un po’ l’immediatezza e l’aggressività primordiale del black (molto presente nel debut per esempio), ma se questo é un ‘pegno’ da pagare per ascoltare queste 7 magnifiche sinfonie, che ben venga … Déjà vú si, ma di altissima classe , ottimi !
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