La prima volta che avevo ascoltato gli
ScreaMachine, mi era poi venuta in mente la cover di "Beyond the Realms of Death" che i Blind Guardian avevano realizzato per il tribute album "A Tribute to Judas Priest: Legends of Metal Vol. II". Certo, le atmosfere del loro omonimo esordio erano più viscerali ed energiche rispetto a quelle profonde e drammatiche suscitate dal succitato capolavoro dei Judas Priest, ma l'influenza del British Steel era forte ed evidente, sin dall'opener "Demondome", e nella voce di
Valerio Caricchio, si percepiva più di qualche eco alla Hansi Kürsch, come, peraltro, quelli di altri screamer, da Ralf Scheepers ad Andy B. Franck, gusto per non limitarsi all'inevitabile citazione di Rob Halford.
Detto questo, va subito chiarito come né "ScreaMachine" né tantomeno il nuovo "
Church of the Scream", siano il frutto di una manciata di meri emulatori, dato che tutti i musicisti che ne fanno (o ne hanno fatto) parte, non sono certo gli ultimi arrivati e hanno importanti esperienze alle spalle, che hanno deciso dimettere a fattor comune nel momento di dare vita a questa formazione.
E si sono già tolti diverse soddisfazioni, dall'esordio che nel 2021 ha accesso i riflettori sulla loro proposta musicale, seguito prima da un EP che ha tenuto viva l'attenzione e finalmente dall'ultimo nato in casa
ScreaMachine, "
Church of the Scream", che si apre sui ritmi scattanti e powereggianti di "
The Crimson Legacy", con subito in evidenza
Valerio Caricchio, cantante che ha fatto enormi passi in avanti rispetto alla prima volta che lo ho ascoltato sul demo "Poetry of the Lost" dei Mysterhydden. Ma il resto della band non sta certo lì a far da spettatore, dato che
Francesco Bucci e
Alfonso Corace sono il mantice che aizza le fiamme e le chitarre di
Paolo Campitelli e
Edoardo Taddei si muovono come dei rasoi affilati. Ancor più riottosa la titletrack, per quanto non manchi un tocco comunque arioso e ammiccante, che affiora soprattutto nel refrain e che poi prende le redini del gruppo in occasione di una "
Night Asylum" catapultata nei pressi del Colosseo direttamente dagli Eighties, e dove il quintetto romano fa l'occhiolino a soluzioni hardeggianti, un po' alla Lordi ma pure in odor di Motley Crue.
Davvero un gran bell'inizio, ma il meglio deve ancora venire: era un sacco di tempo che aspettavo di poter ascoltare un pezzo onesto e diretto come "
Revenge Walker", un episodio dal D.N.A. griffato Judas Priest, tra le atmosfere di "Screaming for Vengeance", "Defenders of the Faith" e, perché no, pure quelle di "Turbo", che vengono rievocate anche dagli assoli di chitarra che imperversano lungo i suoi cinque minuti di durata.
Si potrebbe provare a tirare un po' il fiato, ma gli
ScreaMachine sono di tutt'altra idea e danno una bella accelerata prima con "
Met(H)Aldone" e "
Flag of Damnation" (che sembra azzardare un approccio tra l'epicità dei Manowar e il Thrash dei Metallica) poi nella robusta "
Pest Case Scenario", che viene comunque anticipata dalla più ragionata e vagamente maideniana "
Occam’s Failure". A questo punto, dopo i drappeggi del basso di
Bucci, e letto il titolo, mi sarei aspettato un brano pronto a spingersi ai limiti del Thrash Metal invece "
Deflagrator" affronta la lezione del più classico Heavy Metal un po' alla maniera dei Mesmerize di "Paintropy", con un approccio incisivo e moderno.
Ecco, infine, che per "
The Epic of Defeat", probabilmente richiamato da quel suo intro tribale e pagano, troviamo lo special guest
Davide “Damna” Moras degli Elvenking, che si unisce agli
ScreaMachine proprio nell'episodio conclusivo, dove pare aleggiare nuovamente qualche riferimento al Black Album dei Metallica e con un mood che rievoca anche i Savatage più epici.
Si dice che sia il terzo album a definire le reali potenzialità di un gruppo, ma gli
ScreaMachine sono una di quelle eccezioni che confermano la regola: per loro la promozione arriva direttamente da "
Church of the Scream".
Roma Caput M... etal!
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