"
Congregation of Annihilation" è un album dalle tante novità ma anche foriero di diverse conferme e che - meglio dirlo sin da subito – nel suo complesso ritengo superiore ai suoi più recenti predecessori. Infatti, "XI" (comunque più che discreto) e soprattutto "Damned If You Do" non è che fossero proprio due capolavori, ma ammetto che già la possibilità di ritrovare (anche sul palco del Luppolo In Rock) Mike Howe al timone dei
Metal Church aveva rappresentato per il sottoscritto una grande emozione. Poi è successo quello che sapete, così dopo il suicidio di Mike Howe, e solo qualche mese fa è mancato anche il loro storico batterista Kirk Arrington, avevo immaginato che potesse essere il momento di calare il sipario sul percorso musicale dei
Metal Church, invece i nostri hanno avuto lo forza di risollevarsi e così eccoli qui alle prese con quello che è ormai il loro tredicesimo disco.
Partiamo subito con la principale novità: al microfono ecco
Marc Lopes, cantante con diverse esperienze alle spalle, ad esempio ha cantato sugli ultimi due lavori dei Ross the Boss ma anche su "Warrior" di quei Meliah Rage nelle cui fila aveva militato un altro ex frontman dei Metal Church (con loro dal 2004 al 2013) quale Ronny Munroe. Una citazione peraltro non casuale, dato che
Lopes è più facilmente accostabile allo stile di Munroe e a quello di David Wayne (trovo comunque anche diverse similitudini con Sy Keeler degli Onslaught) che non a quello di Howe, come è sin da subito evidente nell'opener "
Another Judgment Day". Altra scelta vincente è rappresentata dalla produzione e dalla resa sonora, aspetti nei quali
Kurdt Vanderhoof rispetto alle precedenti prove nel ruolo di produttore si è superato, e non ci sono spazi per critiche verso
Vanderhoof neppure nell'altro ruolo che ha svolto su "
Congregation of Annihilation": quello di chitarrista al fianco di
Rick van Zandt, mentre alla sezione ritmica ritroviamo un'altra coppia vincente come quella formata da
Steve Unger e
Stet Howland.
L'affiatamento e la compattezza di questi quattro musicisti sono quindi subito evidenti e quando a loro si unisce la voce aspra e affilata di
Lopes i
Metal Church tornano a muoversi all'unisono come quella macchina da guerra che, a più riprese, hanno dimostrato di poter essere nel corso degli anni.
I
Metal Church, oltre a ribadire la propria identità riescono ad essere anche più aggressivi e cupi rispetto al passato, come ad esempio lasciano intendere nel vorticare della titletrack, di "
Pick a God and Prey" e nella conclusiva "
All that We Destroy" (una dichiarazioni di intenti, sin dal titolo), mentre un brano come "
Making Monsters" parrebbe quasi voler riecheggiare la atmosfere di "The Dark", uno degli album più importanti nella carriera dei
Metal Church e al quale guarda anche "
Me the Nothing", con quel suo mood drammatico che richiama "Watch the Children Pray". Devo comunque riconoscere, che per quanto abbia davvero apprezzato vedere
Vanderhoof e soci mostrare i muscoli e stridere i denti, sono stato particolarmente colpito dall'approccio ottantiano della rockeggiante "
Say a Prayer with 7 Bullets", dove i
Metal Church sembrano voler maltrattare la lezione impartita loro da Raven ed Accept.
A questo punto mi congedo, ormai per la terza volta, autocitandomi:
[
... i Metal Church hanno sempre combattuto, non sempre hanno vinto, eppure dopo ogni KO, hanno nuovamente trovato la forza per ripresentarsi. Anche per questo meritano tutto il nostro rispetto. ]
Metal.it
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