Avevamo lasciato i
Pyramaze a quella immonda porcheria che fu "
Epitaph" del 2020. Per cui, inevitabilmente, le aspettative si erano abbassate moltissimo, nei confronti di una band che invece, fino a quel momento, aveva avuto una carriera soddisfacente e prolifica.
il 2023 ci ripresenta i Pyramaze sempre sotto AFM Records, pronti a ripartire con questo "
Bloodlines". E bisogna ammettere che, anche se le storture del passato recente non sono state cancellate del tutto, questo album merita di essere ascoltato. Cosa è rimasto di negativo? Dei ritornelli a volte davvero fini a se stessi, risibili nella loro banalità, e dei testi che lasciano un po' il tempo che trovano. Cosa è stato ritrovato invece? Quel gusto compositivo capace di fondere il power metal più melodico e Kamelot-tiano con aperture prog e momenti più furiosi, sparsi con intelligenza qua e là nelle canzoni (avere Jacob Hansen in formazione e dietro il mixer aiuta non poco). Nei 9 brani (più una corposa e gustosissima intro), i Pyramaze vanno un po' dappertutto, dalle mazzate di "
Taking What's Mine", alle deliziose complicazioni di "
Broken Arrow", dalla malinconica "
Alliance" (che vede un duetto con Melissa Bonny, tra l'altro nuova musa proprio dei summenzuionati Kamelot) ai brani più anthemici come "
Stop the Bleeding" dove si può a volte percepire lo spettro degli ultimi Evergrey far capolino.
Tirando le somme, "
Bloodline" è un buon ritorno sul giusto percorso; il problema più grande, ad opinione di chi vi scrive, rimane la voce di
Terje Harøy, troppo strozzata sui troppi acuti, e poco sfruttata nel suo registro migliore, che sembra essere il baritono.
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