Ebbene sì, lo confesso … mi sono interessato ai
Voyager dopo averli visti all’
Eurovision Song Contest, uno spettacolo che, sebbene immerso nel
kitsch, talvolta riserva, oltre a una forma d’intrattenimento piuttosto godibile, anche gradevolissime “sorprese”.
Da una rapida “indagine conoscitiva” apprendo che gli australiani sono parecchio noti nella “scena”
prog-metal per la loro capacità di mescolare tali prerogative stilistiche con
pop e musica elettronica e che questo “
Fearless In love” è un lavoro che accentua ulteriormente la componente “commerciale” del suono, spingendo il gruppo verso orizzonti a più ampia fruizione.
Come si fa a non essere incuriositi? Difficile … anche perché l’impresa di portare il “metallo alle masse”, tanto più se colto e irrequieto, è un obiettivo tanto ambizioso quanto arduo.
E allora diciamo che l’ascolto del disco pone effettivamente i
Voyager tra le poche
band attrezzate per avvicinare certe sonorità al “grande pubblico”, anche se in realtà la componente squisitamente
progressiva tende lungo la scaletta a diventare sempre meno rilevante e creativa.
Si parte con “
The best intentions”, “
Prince of fire” (scelta come primo singolo … decisione “coraggiosa”, se l’intento era quello di allargare la platea) e “
Ultraviolet” (
featuring Sean Harmanis dei Make Them Suffer) tre ottimi esempi di
metal-prog melodico e nervoso mentre in “
Dreamer” si assiste ad un repentino cambio di approccio, che diventa precipuamente
electro-pop, intriso di un notevole peso “radiofonico” e “danzereccio”.
“
The lamenting”, una sorta di
mix tra Coldplay, Tesseract e Supertamp, è uno dei brani più interessanti del lotto sotto il profilo “contaminazione”, al pari della successiva “
Submarine” (in cui affiora addirittura qualcosa dei Duran Duran nell’impasto sonico) e di “
Twisted”, che evoca nella memoria sia i Depeche Mode che i Dream Theater.
Di quella "
Promise” che ha indirizzato la mia attenzione sul gruppo di Perth posso solo dire che si tratta di un’adescante forma di pulsante
synth-anthem, ottimamente interpretato da
Danny Estrin, un cantante dalle spiccate qualità espressive, evidenti pure nella vaporosa “
Daydream” e in una “
Listen” che in qualche modo inserisce i
Voyager tra i potenziali beniamini di chi ama The Ark e Muse.
“
Gren (Fearless in love)” chiude l’albo in maniera magniloquente e vagamente ridondante, senza però inficiare il valore complessivo di “
Fearless In love”, un crogiolo di melodia, ritmo e tensione magari non ancora “perfetto” e che per le sue velleità di “largo consumo” potrà far storcere il naso a qualche austero
progster, ma che merita il sostegno che si riserva a chi tenta, con profitto e senza snaturarsi, una complicata mediazione tra i generi.
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