Perfect Plan, Nestor, Captain Black Beard, Remedy … cosa hanno in comune questi gruppi?
Ok, l’origine geografica innanzi tutto, e poi il fatto che, in momenti diversi (e senza andare troppo indietro nel tempo), sono stati in grado di sorprendermi e di far vibrare intensamente il mio ormai spossato animo di stagionato
chic-rocker.
Ebbene, oggi dopo l’ascolto di “
Ignition” penso proprio che alla blasonata compagnia sarò “costretto” ad aggregare anche gli
Streetlight, svedesi di Jonkoping e pure loro piuttosto “impressionanti” per come trattano la nobile tradizione del
rock adulto.
A questo punto appare chiaro che la ”sorpresa” non è tanto dettata da innovative peripezie stilistiche, bensì dalla capacità di convogliare in un unico crogiolo sonoro le tante influenze “classiche” (Bad Habit, Treat, Kansas, Def Leppard, Journey, Toto, …) facendo in modo che la loro riconoscibilità non diventi un ostacolo per l’imperiosa suggestione
cardio-uditiva.
Effetto, questo, inaugurato dalla fascinosa
opener “
Hit the ground” e proseguito dalla splendida “
Chutes and ladders”, due autentiche delizie di immacolata arte melodica, ammantate di aristocratica eleganza
pomp-rock.
Quando arriva l’elettrizzante “
Stay”, degna dei migliori Work of Art, è ormai chiaro che gli
Streetlight non sono “una delle tante” formazioni musicali che affollano la competente scena scandinava, mentre la successiva “
Love riot” riporta sulla “terra” l’astante inebriato, ricordandogli che in fondo “
Ignition” è un debutto a cui si può concedere qualche piccolo momento di flessione emotiva.
Il brano in questione non è male, ma la grinta appare vagamente “forzata”, mitigata da un coro molto adescante e tuttavia forse eccessivamente Def Leppard-
esco.
Influenza che si ripropone nella soffice “
Closer”, in cui fanno capolino anche i Bad English, ambedue assimilati con maggiore distinzione, la stessa che rende “
Caught up in a dream” un gioiellino di puro
AOR di matrice americana, tra Survivor, Toto e Starship.
Ai
fans dei White Lion (e dei Van Halen …) non potrà passare inosservato il ficcante fraseggio chitarristico di “
Awake”, altro pezzo di grande spessore melodico, così come credo che il piglio deciso di “
Fire burnin'” finirà per attrarre chi come il sottoscritto ha consumato i due dischi dei Damn Yankees.
L’evidente e pressante ispirazione Journey-
ana finisce per limitare l’efficacia di “
Overjoyed” (e non sorprende che sia stata sottoposta all’attenzione di
Arnel Pineda, il quale, nonostante l’apprezzamento, decise di non utilizzarla per la sua
band), e anche la ballata “
Words for mending hearts”, pur molto godibile, non ostenta quel
CX emozionale capace di scardinare anche gli spiriti meno sensibili.
Un bel tuffo negli
eighties più “cinematografici” è un eccellente modo concludere la raccolta, ed ecco che “
Malibu pier” irrompe nei sensi degli estimatori dei suoni magniloquenti e ottimisti, figli di Asia, Styx, ELO, Survivor e, perché no, in qualche modo, pure dei Genesis di “
Duke” e “
Abacab”.
Gli
Streetlight si candidano prepotentemente per rappresentare la “rivelazione” melodica del 2023, prossimi all’ascesa nel
gotha della scena di riferimento … non rimane che seguirli con attenzione nell’attesa di tale auspicabile (e pressoché “inevitabile”, se l’istinto non mi inganna …) evento.