Affrontare il nuovo
album di uno dei propri consolidati “eroi musicali” implica sempre un misto di ansia, euforia e dubbio.
Se poi si tratta di una
band prestigiosa come gli
Eclipse, alla decima prova in studio, l’interrogativo principale riguarda la loro “tenuta”, finora pressoché impeccabile, e le scelte espressive che gli svedesi a questo punto della loro parabola artistica hanno deciso di sostenere.
Insomma, il rischio maggiore era quello di essere “fagocitati” dalla
routine, e diciamo subito che i nostri da autentici protagonisti del
rockrama contemporaneo scongiurano tale pericolo.
A sorprendere (appena) un po’ è la modalità operativa impiegata per evitare di “ripetersi” e che mi “costringe” ad affermare che “
Megalomanium” è probabilmente il disco più “commerciale” della carriera di
Erik Mårtensson e dei suoi
pards.
Un attributo che spesso ha una valenza negativa, almeno nelle valutazioni superficiali di tanti sedicenti “puristi” del
metallo, ma che qui, grazie al carisma di una compagine intelligente ed erudita, si esprime in maniera ponderata e coerente, senza intaccare l’identità del gruppo.
Ciò non toglie, come anticipato, di “meravigliarsi” per il ritornello vagamente Foo Fighters-
esco dell’adescante atto d’apertura dell’opera “
The hardest part is losing you”, gli accenni di orecchiabilità
indie-rock (con un alito dei The Killers nell’impasto sonico) di “
Got it!” o ancora per il tocco
garage-punk di “
I don't get it” (qualcosa tra The Hives, Bon Jovi e
Billy Idol) e l’enfasi
power-pop di “
The broken”, in cui si scorge sullo sfondo addirittura l’effige dei Green Day.
Suggestioni d’ascolto magari leggermente “iperboliche”, e che tuttavia vogliono testimoniare l’impressione netta dell’intenzione di esplorare differenti soluzioni musicali e ampliare ulteriormente il bacino d’utenza di una formazione che altrove ritrova un
modus operandi più “consueto”, conservando quella qualità nel
songwriting di livello superiore che da anni contraddistingue il suo euforizzante
trademark.
E così ecco che “
Anthem” conduce l’astante sulle
Highlands, celebrando l’indimenticato
Gary Moore,
“
Children of the night” scurisce e inasprisce i toni evocando una
jam tra Metallica, Magnum e Black Sabbath (
Tony Martin-era) e “
Hearts collide” è “semplicemente” un edificante inno alla melodia esuberante e contagiosa.
Con “
So long, farewell, goodbye” la raccolta piazza un altro efficace spaccato di
hard n’ heavy solido e cromato, mentre tocca ad “
High road”, anche grazie all’estetizzante rifinitura tastieristica, accrescere l’effetto evocativo, seguito da una “
One step closer to you” che aggiunge squarci di catarsi sentimentale al disco e a una “
Forgiven” che sigilla “
Megalomanium” con la classe scintillante tipica della
band scandinava.
Ammiccare al
mainstream con acume, misura e integrità, e tentare nel terzo millennio di restituire all’
hard melodico quelle velleità “radiofoniche” che gli competono da sempre (e che oggi invece appartengono a ben altre nefandezze sonore), è un’impresa “difficile”, che gli
Eclipse scelgono di intraprendere, reclamando la facoltà di giocarsi le loro
chances di affermazione ai massimi livelli possibili … una decisione che potrà anche destare qualche perplessità, ma che conferma la personalità inconfutabile di un assodato
leader del genere.