È inutile iniziare lamentandosi del troppo tempo trascorso dal precedente "Aeneid", meglio dedicarsi nell'elogiare quello che è, ad oggi, il miglior disco realizzato dagli
Heimdall.
"
Hephaestus", infatti, accentua l'animus pugnandi e rinvigorisce l'enfasi epica delle loro composizioni, con l'iniziale titletrack, incentrata sulla figura del dio del fuoco e della metallurgia nella mitologia ellenica, che è una vera e propria dichiarazione d'intenti, e dopo qualche colpo di martello ben assestato sull'incudine gli
Heimdall mostrano un approccio meno articolato ma più diretto e incisivo rispetto al passato.
A differenza di "Aeneid" oggi non ci troviamo di fronte ad un concept album, per quanto le tematiche siano sempre ammantate dall'epicità e mitologia che è insita nel loro D.N.A. e che ritroveremo anche sulla conclusiva cover di "
The Show Must Go On", una scelta, questa, coraggiosa e che espone il fianco tanto a critiche quanto ad elogi. Personalmente mi colloco giusto a metà strada, infatti, avrei sconsigliato di scegliere un brano così noto e carismatico, ma allo stesso tempo non posso che togliermi il cappello di fronte alla loro reinterpretazione.
Nessun dubbio invece sul resto dell'album: dopo la già citata titletrack ecco che la maestosità e la magniloquenza degli
Heimdall vengono esaltate prima nella seguente "
Masquerade", episodio powereggiante e dove sono le chitarre di
Fabio Calluori e
Carmelo Claps a ritagliarsi il ruolo da protagonista, per poi deflagrare completamente su una "
King" genuinamente epica, con in grande spolvero sia il drumming di
Nicolas Calluori sia la prestazione vocale di
Gandolfo Ferro, una delle migliori canzoni che gli
Heimdall hanno messo in cascina ed in grado di contendere a Manowar e Domine l'ascesa al trono reale.
Basterebbe già questa prima parentesi per mettere il marchio DOCG a "
Hephaestus" -
Heavy Metal a Denominazione di Origine Controllata e Garantita -, ma la formazione salernitana non si accontenta e decide di spostare l'asse del proprio baricentro verso un sound più affine a quello degli esordi, prima con la corale "
The Runes" e quindi la sontuosa ballad "
Till the End of Time", che con i suoi chiaroscuri contribuisce ad esaltare la prova di
Ferro.
Quando è poi il momento di "
Power" dobbiamo riconoscere agli
Heimdall di aver dato un titolo semplice ma azzeccato ad un episodio che ci riporta ai fasti dell'Italian Power Metal della seconda metà degli anni '90, cui paiono guardare anche le seguenti "
We Are One" (con maggior grinta) e la più articolata "
Spellcaster", dove viene dato maggior spazio alle tastiere e mi pare di cogliere echi dei Secret Sphere.
L'album avrebbe potuto concludersi proprio sulle ultime rullate di "
Spellcaster", ma come già sottolineato gli
Heimdall si sono voluti togliere un ultimo sfizio, andando a scomodare i Queen e recuperando da "Innuendo" la hit "
The Show Must Go On".
Diciamo, che dopo il Re hanno importunato pure la Regina... sarà mica colpa dei Black Sabbath?
"The World is Full of Kings and Queens, Who Blinds Your Eyes,
Then Steals your Dream, It's Heaven and Hell!"
Ormai ci siamo abituati alle lunghe pause discografiche degli
Heimdall, ma se i risultati sono questi, mi metto il cuore in pace e aspetterò altri dieci anni.
May I sing the Deeds of Heimdall
With Solemn Words I Invoke your Spirit
O Lord of Poetry... Messenger of Ancient Tales
Metal.it
What else?