Il
rock melodico, un po’ come tutti i generi “classici”, per proseguire nel suo venerabile ciclo vitale non ha bisogno di “stravolgimenti”, ma ritengo apprezzabile impegnarsi per evitare di adeguarsi pedissequamente ai suoi nobili stereotipi, aggiungendo varietà e freschezza a suoni tanto disciplinati.
Un pensiero che qualche irriducibile sostenitore della tradizione magari riterrà discutibile e che tuttavia trova una sua accertabile convalida in formazioni di valore come Eclipse, Art Nation e degreed, capaci di accogliere consensi ampi e convinti in una comunità
musicofila tutt’altro che indulgente.
Sulla medesima lunghezza d’onda dei suddetti si collocano i
Rockett Love, pure loro svedesi, giunti al terzo
album e artefici di una proposta sonora che si abbevera abbondantemente alle convenzioni del settore e le “rimescola” con un certo buongusto, dimostrando di possedere i mezzi adatti per ambire a posizioni di rilevo nelle gerarchie del
rockrama di riferimento.
Da quest’ultima dichiarazione appare quindi chiaro che “
Galactic circus” (
mixato e masterizzato da
Erik Mårtensson, a rafforzare in qualche modo l’impressione di una “sintonia” stilistica all’ascolto abbastanza evidente) non è ancora, soprattutto sotto il profilo del
songwriting, pienamente all’altezza dei suoi principali
competitors, in grado di esibire una maturità artistica ben delineata e consolidata.
Ciò detto, “
Never look back”, con il suo concentrato di raffinate cromature soniche, è un eccellente modo per innescare la raccolta, mentre in “
Too much water under the bridge” la
band tenta una difficile conciliazione tra
groove sonico denso e oscuro e
refrain vaporoso (mi ha ricordato vagamente l’approccio dei Masquerade di “
Surface of pain”), ottenendo un risultato “interessante” ma non del tutto convincente.
Andiamo molto meglio con la frizzante “
Running out of time”, non lontana dagli ultimi Eclipse, e anche “
Under the gun”, grazie al suo clima evocativo e crepuscolare, si colloca tra gli
highlights dell’opera.
Qualifica che purtroppo non si può attribuire nitidamente né a “
Easy come and easy go” e né a “
On the radio”, entrambe comunque piuttosto piacevoli e coinvolgenti, al pari della
cover dei The Tubes “
Talk to ya later” realizzata con slancio e la giusta devozione.
“
The angels cry” ha un bel “tiro” e si inquadra tra i brani riusciti di “
Galactic circus” e assai avvincente si rivela pure l’atmosfera notturna che avvolge “
Far away”, attenuata nella lievemente meno efficace “
Last men standing” e dissipata del tutto da “
The higher you rise the harder you fall” altra traccia che mescola grinta e levità con esiti contraddittori.
Ai
Rockett Love, dopo averne gradito gli intenti espressivi e le valide capacità tecniche, si richiede ora di andare oltre una manciata di canzoni complessivamente (con qualche picco …) accattivanti, per non rischiare di finire nella caotica massa dei gruppi “bravini” … qualcosa mi dice che riusciranno nell’impresa e non rimane che attendere i loro passi futuri per appurare se tale fiducia è ben riposta.
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