Copertina 7

Info

Genere:Heavy Metal
Anno di uscita:2023
Durata:42 min.

Tracklist

  1. WITCH’S BREW
  2. OMENS
  3. THE WOLVES AIN’T FAR BEHIND
  4. CONQUEROR
  5. EMPIRE
  6. SWAMP SACRIFICE
  7. LORD OF NIGHT
  8. THE GODS THAT FELL TO EARTH

Line up

  • M. Horn: various instruments, vocals

Voto medio utenti

In tempi di registrazioni “laccate”, produzioni esplosive e suoni impeccabili anche a livello underground, fa quasi “piacere” ascoltare un disco “sporco” e imperfetto come “Thunder city”, in cui le idee e le intenzioni del suo autore non rischiano di essere amplificate dalla tecnologia.
I norvegesi Blood Python, ovvero il “factotum” M. Horn, nel loro secondo album si rivelano senz’altro un allestimento artistico “artigianale”, sostenuto però da un intrigante intreccio espressivo che mescola influssi NWOBHM, dark ed epic-metal, aggiungendo all’amalgama sonica anche talune lievi sfumature di ascendenza black, probabile retaggio dell’origine geografica della band.
Ecco che le influenze dei primi Death SS, di Cloven Hoof, Angel Witch, Heavy Load, Mercyful Fate e Venom, pilotate da una voce scabra, flebile e tormentata, diventano alla prova dei fatti un crogiolo musicale di notevole attrattiva, “crudo” ed essenziale, ma intriso di uno spiccato fascino sinistro e primordiale.
Sensazione evidente fin dall’atto d’apertura “Witch’s brew” (brano che in realtà, mi ha ricordato anche un po’ “Looks that kill” dei Mötley Crüe!) e che prosegue nella ieratica “Omens” e nella pulsante e anthemicaThe wolves ain’t far behind”, virtuosa figlia dell’HM britannico ottantiano più caliginoso.
In “Conqueror” emerge lo spirito evocativo e solenne dei Blood Python, capaci, poi, nella ferale “Empire”, di esplorare ancora più a fondo i morbosi anfratti dell’oscurità, resa non meno inquietante dalla diafana e torbida atmosfera che pervade “Swamp sacrifice”.
Il soffio gelido ed efferato del “metallo nero” affiora in “Lord of night” e nella lunga e volubile “The gods that fell to Earth”, epilogo che condensa le migliori prerogative di “Thunder city”, ospitando altresì una seducente eredità sonora d’ispirazione seventies (Sabs, Budgie, Atomic Rooster, …).
Tante suggestioni, magari indefinite e sospese, che tuttavia sono più che sufficienti per attirare l’attenzione su un percorso creativo la cui sfida per il futuro è quella di migliorare la qualità del suono senza dissipare l’aura ancestrale che avvolge Mr. Horn e la sua enigmatica creatura di nome Blood Python.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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