Sky Empire - The Shifting Tectonic Plates Of Power – Part One

Copertina 7,5

Info

Anno di uscita:2023
Durata:16 min.
Etichetta:ViciSolum Productions

Tracklist

  1. PROLEGOMENON: THE ENCOMIUM OF CREATION
  2. ON THE SHORES OF HALLOWED HAVEN
  3. THE EMISSARY
  4. INTO MY FATHER'S EYES
  5. WAYFARER
  6. THE LAST DAYS OF PLANET FANTASY
  7. HOUSE OF CARDS

Line up

  • Tony Snow: bass
  • Rémi Jalabert: drums
  • Drazic Lecutier: guitars
  • Tom Hobson: keyboards
  • Yordan Ivanov: vocals

Voto medio utenti

Proprio pochi giorni fa, durante un'intervista con Simone Mularoni dei DGM, si parlava di come tendenzialmente il prog metal non sia un genere dai grandi numeri in fase di vendita, a meno di volersi piegare a certe derive commerciali o cavalcare effimere mode, che però hanno l'innegabile pregio di avere un effetto tangibile, soprattutto nel mondo social, dove ormai la musica liquida si consuma di più che quella fisica.
Bene, tutto questo concetto NON si applica ai qui presenti Sky Empire, che con il loro secondo album ci forniscono una spremuta di tutto quello che il prog metal è e dovrebbe essere, per loro, per chi vi scrive, e per tutti noi maledetti nerd senza speranza che ci gasiamo per uno stacco in 15/16 e poi non abbiamo uno straccio di vita sociale.

"The Shifting Tectonic Plates Of Power – Part One" (la sobrietà sin dal titolo) è proprio un'ora e spicci di musica molto spesso strumentale, con pochi e mirati inserti vocali, in cui la band finge di perdersi per lande musicali ai limiti dello space metal, restando invece saldamente ancorati ai loro tecnicismi, sempre molto melodici e godibili. Questo è un album che è una vera e propria prova di resistenza per ogni orecchio che si definisca prog; si parte con i 14 minuti e mezzo di "Prolegomenon - The Encomium of Creation" (dicevamo?), un disco nel disco, interamente strumentale e da svitarsi la testa. Gli Sky Empire trovano anche il tempo per fare i 'moderni', laddove "The Emissary" ha una bellissima linea vocale (eseguita peraltro da Jeff Scott Soto), "Into My father's Eyes" potrebbe essere un brano di Steve Vai e le ultime due suite finali sono soffocanti per tecnica e arzigogoli musicali.

E' un album accessibile? Di facile assimilazione? Ma neanche per sogno. E' ostico, complicato, convoluto. Esattamente quello che ogni prog fan cerca, insomma.



Recensione a cura di Pippo ′Sbranf′ Marino

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