Prima di premere il tasto
play, un piccolo rammarico, dovuto all’abbandono da parte de
La Menade dell’idioma italico.
Fin dal primo ascolto di “
Reversum”, delusione pressoché (continua la mia “fissazione” per la madrelingua associata alle varie declinazioni del
rock …) annientata e l’impressione netta che il gruppo capitolino, anche grazie a tale scelta, abbia probabilmente trovato la sua dimensione ideale, accentuando le sue possibilità di affermazione a livello “internazionale”.
A contribuire alla suddetta sensazione, si aggiunge pure un cambiamento nel linguaggio espressivo, diventato più torbido e avvolgente, pur continuando ad affidarsi alla peculiare miscellanea di
metal,
dark, ed elettronica che dal 2000 contraddistingue la
band.
Chi pensa che la tanto chiacchierata ondata
alternative/gothic abbia ormai esaurito tutte le sue velleità artistiche farebbe bene ad affidarsi a “
Reversum” per comprendere come, partendo in sostanza da quelle prerogative stilistiche, si possa sviluppare un suono potente, liberatorio e seducente (lungo un tracciato che, per fornire qualche indicazione di massima, va da The Smashing Pumpkins a Evanescence, passando per A Perfect Circle e lambendo certe atmosfere di derivazione
trip-hop …), frutto di un profondo travaglio interiore e dell’osservazione disillusa, angosciata e rabbiosa di un mondo allo sfascio.
Un disco da luci soffuse, insomma, capace però di esplodere in grumi di catartica e bruciante energia emotiva, condotto ad arte dalla voce sensuale e dalle chitarre frementi di
Tatiana Lassandro, mentre la sezione ritmica pulsa senza sosta e i
synth di
Tania Marano (a cui indirizzo nuovamente, come già accaduto nel precedente “
DisumanaMente”, un plauso speciale per lo spiccato gusto musicale) completano in maniera davvero preziosa questo scenario fatto di avvincenti chiaroscuri.
Il varco per accedere all’universo inquieto e criptico evocato dall’albo si chiama “
Life resounds” e una volta entrati in sintonia con tali suggestioni sarà praticamente impossibile sfuggire al fascino diafano di “
Alone”, alle cupe palpitazioni soniche di “
Black days” o ancora alla morbosa “
Oblivion”, che striscia nei sensi in maniera tanto subdola quanto radicata.
Il clima surreale e incalzante di “
Zero” accentua ulteriormente il coefficiente “cinematografico” di una raccolta che con “
Beauty has gone” esplode in una forma di sinistra e provocante irruenza “tecnologica”, per poi arricchirsi di decadente e tragica voluttà in “
Release me” e sondare le oscure profondità dell’animo umano in “
Closer”, la vera “perla nera” dell’opera, impreziosita da una prestazione vocale da brividi.
Il fiotto di introspezione elettronica che alimenta la
title-track di “
Reversum” suggella il suo clima visionario e funesto, confermando
La Menade tra le realtà più interessanti del settore, in grado di superare lo stallo creativo che già da un po’ lo contraddistingue con la forza della sensibilità, dell’ispirazione e dell’intelligenza.