Copertina 7

Info

Anno di uscita:2023
Durata:47 min.
Etichetta:Frontiers Music

Tracklist

  1. IT'S TOO LATE
  2. SERVANT
  3. STILL ALIVE
  4. STANDING ON MY OWN
  5. STRANGER
  6. DOWN BELOW
  7. STAY THE NIGHT
  8. CLOSER TO THE TRUTH
  9. I WILL REMEMBER
  10. DON'T HIDE
  11. DARKEST OF DAYS

Line up

  • Lee Small: vocals
  • Martin Kronlund: guitars, backing vocals
  • Anders Skoog: keyboards
  • Bas Berra Holmgren: bass
  • Pontus Engborg: drums

Voto medio utenti

Vi piacciono Deep Purple, Bad Company, Whitesnake, Rainbow? Avete apprezzato anche loro epigoni come Snakecharmer e Snakes In Paradise (giusto un paio di nomi di casa Frontiers Music, ma l’elenco sarebbe complessivamente mooolto più corposo …)?
In caso affermativo gradirete anche questi Kings Crown, nati con l’intento dichiarato di raccogliere l’eredità di quei fondamentali punti cardinali dell’hard-rock blues dei seventies, assegnando poi al tutto un taglio sonoro “contemporaneo”.
L’obiettivo può dirsi centrato, anche perché la competenza dell’ideatore del progetto Martin Kronlund (Gypsy Rose, Phenomena, Dogface, Overland, …) e dei suoi sodali Lee Small (Shy, Phenomena, Surveillance, Sweet, …), Anders Skoog, Berra Holmgren e Pontus Engborg (Glenn Hughes) è tale da non avere troppi dubbi sull’efficacia delle esecuzioni strumentali e delle interpretazioni vocali.
Meno scontata è l’ispirazione, anche quella alla prova dei fatti piuttosto marcata lungo il programma di “Closer to the truth”, un disco sostenuto dalla laringe pastosa di Small (a tratti assai Hughes-esca) e da una collezione di canzoni in cui lo spirito originale del genere viene declinato con raffinatezza e verve, compensando abbastanza bene la prevista mancanza di “originalità”.
E allora, appurati i precedenti presupposti, "It's too late” avvia il godibile “viaggio nel tempo”, e altre tappe importanti dell’evocativo cammino si chiamano "Servant”, “Standing on my own” (da “brividi” la prova del cantante britannico), "Stranger”, "Down below” e la soulfulI will remember”, in cui gli inevitabili flashback non invalidano l’efficacia emozionale dell’intreccio musicale.
La title-track dell’opera (un po’ alla Van Hagar) con le sue intriganti soluzioni melodiche diverge leggermente dalla rotta stilistica prestabilita, fornendo qualche possibile (e magari pure auspicabile …) indicazione su un eventuale sviluppo futuro del gruppo.
Spendendo una particolare nota di merito anche per il tastierista Anders Skoog, capace di “colorare” con notevole buongusto un po’ tutto il contenuto di “Closer to the truth”, non mi rimane che consigliare l’albo a chi crede che celebrare i “classici” con l’intenzione di coglierne la loro essenza non sia soltanto un modo per far leva sugli effetti canaglieschi della “nostalgia” e possa superare con una certa disinvoltura il temibile e concreto rischio della “minestra riscaldata”.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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